Sembra quasi di riferirsi a mille anni fa quando si parla di Giorgio Gaber, quando si parla delle sue canzoni semplici, naturali e inimitabili.
Gaber, il più grande di sempre, insieme solo a Fabrizio De Andrè, scriveva canzoni che facevano ridere tutti, soprattutto chi non era poi così raffinato da aspettarsi voli aulici. Eppure sembra che Giorgio Gaber sia morto cento anni fa, sembra che i suoi capolavori siano antichi quanto quelli di Dante e Boccaccio.
E questo è molto strano, visto che si è spento il primo gennaio del 2003, appena cinque anni fa.
Ed è molto strano anche che i giovani di oggi si sentano più vicini ai Queen, agli Iron Maiden, la cui cultura non ha nulla da spartire con la nostra, la cui traccia nella storia rimane sì, ma ad un livello molto più superficiale di quella di Gaber.
Giorgio Gaber, non appartiene ad una realtà separata dalla nostra: egli riempì i teatri dagli anni settanta fino ai novanta. Mio padre mi racconta sempre di come lui, quando aveva la mia età, facesse la fila dalle sei di mattina, facendo i turni con gli amici, per poter acquistare i biglietti per gli spettacoli di Gaber.
Eppure, Gaber sembra aver poco da spartire con noi.
Eppure i miei coetanei sanno poco o nulla di Gaber.
Gaber non era un agitatore politico, Gaber non era un mito, Gaber non era una star. Giorgio Gaber era uno di noi, un uomo immerso nella società italiana, capace però di penetrarne i risvolti che solitamente rimanevano insondati.
La sua capacità di far ridere con canzoni apparentemente grossolane era una sfaccettatura del suo genio: come ho già detto Gaber era uno di noi, era un menestrello con una mente che andava al di là della realtà, proprio per questo è sempre stato sentito parte del popolo italiano, il più delle volte ne è stato anzi il portavoce.
Gaber faceva ridere e faceva piangere. Gaber ha permeato tutta la sua opera con un’integrità e una signorilità che nessuno ha mai avvicinato.
E agli spettacoli di Gaber c’erano tutti. I giovani, i vecchi, i poeti e gli operai. E tutti insieme erano un unico uomo.
Allora perché oggi Gaber è così lontano dai giovani? Perché tutti sanno le canzoni di Lucio Battisti ma pochi conoscono quelle di Gaber? Per quale motivo Gaber ha creato una frattura,tra quelli che lo conoscevano e lo amavano quando era in vita e quelli che non lo hanno mai visto e non se lo sentono vicini?
Eppure io conosco Gaber e amo le sue canzoni, mi commuovo quando ascolto “L’illogica allegria” e rido di gusto quando lo sento recitare i suoi eccezionali monologhi. In fondo la mia generazione ha tutto alla sua portata, non sarebbe infatti difficile scaricare da Internet i suoi spettacoli e gustarseli in camera da letto.
Purtroppo la risposta è che i giovani di oggi non hanno voglia di ascoltare veramente qualcuno; nessuno,o quasi, apprezza il teatro per la sua nobiltà, e il teatro di Gaber in particolare per la sua mai superata genialità. È molto più rilassante la Playstation 3, o il cellulare, o il blog su messenger.
La mia generazione viziata non farebbe mai ore di fila per uno spettacolo, o per un concerto. Oggi i biglietti si prenotano su internet. Oggi l’intrattenimento è dentro una scatola cubica e non in una platea.
La mia generazione non si commuoverebbe ascoltando “Qualcuno era comunista”, la canzone italiana più profonda, dura, vera che sia mai stata scritta. Ma molti si metterebbero a piangere al concerto dei Blue o dei Tokio Hotel per ragazzini ventenni costruiti dal marketing più spietato.
Giorgio Gaber non è mai stato commercializzato. Giorgio Gaber non è quasi mai andato in televisione, e le sue rare apparizioni non erano fatte di autocompiacimento o di autocelebrazione, erano esclusivamente opportunità per toccare un pubblico più ampio.
Mi dispiace vedere che la mia generazione ha perso, che non ama più sentirsi riempire il petto di commozione, di tenerezza e di affetto come capita solo quando si ascolta Gaber.
Giorgio Gaber ha avuto la fortuna di trovare, nel suo trentennio di successi, un’Italia che anche dopo le grandi delusioni utopistiche, aveva ancora voglia di sognare.
Ma per me è drammatico che il suo grido sia destinato a perdersi nel nulla. Che il grande dono che lui ci ha lasciato, un’eredità così piena di potenziale, venga dissipata per colpa nostra.
Noi siamo la generazione del duemila, quella con più possibilità di tutte le altre, quella proiettata nel futuro ma incapace di costruirsi basi concrete. Siamo la generazione dei computer e degli mp3, delle chiavette USB e dell’iPod, la generazione che, come diceva Gaber, ha perso.
16 December 2007
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2 comments:
Per prima cosa hai indovinato. E' stato accoltellato un cappuccino. Poi, non so chi tu sia, ma voglio assolutamente saperlo. 1 - com'è che un ragazzo giovane come te conosce Gaber? 2 - perchè sei così triste? 3 - sicuro di essere etero ;) ?
Sarai sempre il benvenuto sul mio blog.
Mont
Mi riconosco nelle tue parole... E io di anni ne ho 15... Anche se devo dire che le canzoni di Gaber non le conosco propiro benissimo, ma prima o poi metterò fine alla mia ignoranza. Adoro De Andrè, ma a volte mi pare di essere un'aliena, visto che i ragazzi di oggi (per fortuna, non tutti) sono davvero più interessati alla musica spazzatura... Mi fa piacere sapere di non essere l'unica "persa" per la musica vera...
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