21 May 2007

Is it over?

Non so più perchè e cosa scrivere.. Per chi? per quale obiettivo?
Non c'è nessuno che mi ascolta, nessuno che ci tiene a leggere quello che scrivo. I pochi che passano di qui lo fanno perchè li imploro di farlo. Che schifo.
Il mio blog come la mia vita.
Voglio staccare. Finalmente. Da tutto l'universo. Voglio galleggiare nel silenzio più tranquillo. Voglio guardare le formichine che si affaccendano al posto mio. Non ho più voglia di scrivere senza un motivo. Guardatemi negli occhi e ditemelo con tutta la vostra sincerità: "Tu non sarai mai uno scrittore." "Smetti di sognare."
Ditemelo, così magari riacquisterò un po' di fiducia. In me e in voi.
Non pensate che io non rilegga ciò che scrivo. Lo vedo quanto è lontano da ciò che vorrebbe essere. Lo vedo bene quanto lo vedete voi. Solo che voi non me lo dite perchè mi volete bene e siete qui x farmi i complimenti e non per smontarmi. Ditemi che faccio schifo, sarò contento.
Non c'è nessuno che venga qui per ascoltare delle belle pagine. Siete tutti qui perchè siete miei amici e un po' di carità non si nega a nessuno.

Non so cosa devo scrivere, non so cosa devo scrivere per comporre un capolavoro, non so se parlare di amore o di avventure, dei miei sogni o del mondo di cristallo che guardo. Non so niente. So che sono fermo al punto di partenza da anni.
Sono, anzi cerco di essere, brillante esclusivamente all'apparenza..ma quando si va a stringere sono una nullità.

È così che doveva finire?

17 May 2007

"..Vuoi una foto?..."

Cammino per la strada. Migliaia di persone e nessun affetto. Ci odiamo tutti alla stessa maniere. Tutti con la stessa, perfetta, indifferenza totale. Cammino con il freddo attorno, con il mio cappotto nero lungo lungo e la mia sciarpa di lana che mi copre la faccia. Cammino con le scarpe pesanti e le mani nelle tasche dei pantaloni. Cammino con lo sguardo sempre chino.
Per la strada siamo tutti uguali nei nostri gusci. Cammino lasciando le mie impronte sulla neve.
Tra i palazzi, tra le persone, i bianchi i neri e i gialli, in mezzo a tutto questo non si trova più niente di umano. Ho le mani infreddolite, vorrei avere un bel bicchierone di Starbucks bollente tra le mani, un caffè americano come solo qui lo sanno fare.
Mentre cammino non capisco bene se sono io a fendere coi miei passi una massa inerme di persone o loro a scivolare intorno a me, portandosi con loro le strade e tutto il mondo. Vorrei poter tornare al mio appartamento in cima al mondo e guardare tutto questa orgia di insipidezza dal comfort della mia poltrona di pelle scura. Cammino senza guardare nulla. Ho affinato i miei sensi per poter evitare le persone anche senza guardare dritto avanti a me. Ogni tanto ovviamente capita che qualcuno mi sbatta contro. Ma è normale. Come è normale che poi se ne vada ricoprendomi di insulti. Cammino per un’ora senza fermarmi e senza guardare nessuno. Mi chiedo se anche gli altri camminino senza vedermi.
Ad un certo punto una mano mi costringe a fermarmi. Mi si posa sul petto. È una mano infreddolita, con le piaghe dovute alla temperatura. È la mano di qualcuno che non ha tempo di farsi una manicure. Dietro la mano c’è una camicia pesante, con sopra un giaccone sporco.
« Vuoi una foto?».
Lentamente, davvero lentamente, alzo lo sguardo e vedo una faccia di ragazzo, di una trentina d’anni al massimo, sporco e dall’aria simpatica. « Vuoi una foto?». Lo guardo ma non so cosa dirgli.
« Se mi dai due dollari ti faccio una foto istantanei sotto l’albero. Dai che ti costa. In fondo…». Allora alzo gli occhi. Li alzo tantissimo e sopra di me vedo l’immenso albero di Natale di Central Park. Non sapevo che esistesse. Non sapevo che fosse qui.
Intanto, la mano del tizio è ancora sul mio petto. Ho capito subito che aveva bisogno di qualche spiccio e che mi sarebbe stato riconoscente se fossi stato io a darglielo. «Va bene. Ma non c’è bisogno che mi fai nessuna foto.»
«No no. Non esiste amico. Tu mi dai due dollari e io ti faccio una foto con l’albero ok? È il mio modo per dirti grazie no?!» « Ma guarda che.. Ok.. Tanto ho capito che non ti convinco..» e lui mi fa un sorriso.

Tornando a casa tiro fuori la foto dalla tasca. La rimetto via e la ritiro fuori. Non capisco perché debba avere un’espressione così ebete sulla faccia. Non lo so. Sembro uno di quei turisti che si fanno foto simboliche in giro per la città. Con quell’espressione sul viso assomiglio a un sacco della gente che vedo camminarmi affianco.
Li scruto per capire ma non riesco. A volte alzo la foto a livello dei loro volti per far un confronto ma non riesco. Sarà un cammino graduale.
Ho voglio di rivedere mio figlio. Dovrei fargli un regalo di Natale ma oggi sarà tutto chiuso.

Nessuno

Sono qui. Oggi come ieri e probabilmente anche come domani. Sono qui e ci rimango.
Sono in mezzo a tutti voi. Persone, persone che hanno tanti significati per me. Persone che odio e che amo. Persone da tenere vicine e persone da cui scappare.
Sono qui e starò bene. Starò bene perché voi lo volete e voi ne avete bisogno. Non perché ci tenete a me. Ma perché così il vostro bersaglio rimarrà sempre pronto alla lapidazione.
Non ho bisogno di nessuno. Nessuno è importante per me. Nessuno perché di nessuno io posso fidarmi. Sarete sempre pronti a scavarmi la fossa quando vi sarà comodo farlo.
Cosa potete dare voi a me? Voi che siete sempre pronti a fare la guerra poi la pace poi la guerra. Voi che pensate di sapere sempre quel è la migliore angolazione da cui giudicare la mia vita.
Voi voi voi voi voi. Voi. Voi siete voi e io sono io. Fatemi il favore di mantenere questi ruoli. Non immischiatevi per favore. Non voglio niente da nessuno di voi. Siete cattivi ipocriti e bastardi. Tutti. Seppiatelo bene. Siamo tutti merda. Non scappa nessuno. Però io mi tengo la mia e voi potete morire con la vostra.
Sono qui. Sono qui e ci rimango. Voi potete fare quello che volete. Prima o poi capirete che schifo fate. Nel frattempo continuate pure a vantarvi della vostra merda.

15 May 2007

Erika

La sera di Natale, dopo aver scaricato mio figlio a sua madre, tornai a casa e mi misi seduto sulla mia poltrona di pelle scura davanti al mio splendido televisore al plasma. Guardai tutti i programmi natalizi che trovai, ridendo di essi e della loro stupida allegria preconfezionata. Alle tre di mattina del 25 dicembre spensi la tv e andai al frigo a stapparmi una birra. Chiusi lo sportello e camminai lentamente sorseggiando il mio dolce nettare.
Camminai attraverso le stanze, guardando i muri spogli e le finestre che si affacciavano su un mondo che era davvero diversissimo da me. Dalla cima del mio palazzo potevo vedere ancora le persone piccole come puntini che si aggiravano piene di un’incontenibile allegria.
Io odiavo tutto questo.
Con la birra in mano salii in piedi sul cornicione e guardai in basso. La strada sembrava vorticare dalla paura che faceva, lontana e assassina. Lasciai cadere la birra e la vidi schiantarsi molti piani più in basso. Quel mondo laggiù, quel mondo assassino, era decisamente troppo grande per me.
Ritornai in casa, aprii lo sportellino e chiamai Erika.
«Ciao.. sì.. sì sono da solo.. se non sei impegnata vieni qui.. sì.. sì in contanti come sempre.. non ti preoccupare.. sì portali tu.. come ti pare basta che se pago poi fai quello che ti dico.. certo.. sì.. ciao..».
Infilai una mano nel cassetto di fianco al letto e ne estrassi due preservativi, in caso si dimenticasse di portarli lei, poi da sotto il materasso tirai fuori i contanti che tenevo nascosti per le grandi occasioni.
Presi un’altra birra e mi sedetti sulla mia poltrona di pelle scura. Il mondo fuori era decisamente troppo grande per me.
Ristetti un attimo poi sospirai. Non potevo fare altro anche se forse avrei voluto piangere.

02 May 2007

Again

Certe volte la sensazione è quella di aver tra le mani un pianoforte.
Le mani sono calde e vogliono muoversi. Tutta l'esecuzione è improvvisata. Tutto il repertorio è dentro di me. Ricordo le parole e le righe e le sensazioni che provavo.
E oggi, ancora, mi capita di sentir la mancanza di certi gesti, di certe persone e di certi sguardi. Probabilmente è vero che il tempo è capace di uccidere tutti i ricordi. Io aspetto ancora.

Vorrei scrivervi una storia. Per tutte le persone che sono mai capitate qui a leggere quello che io scrivo. Una specie di ringraziamento. Per chi rimane nell'ombra o come me vorrebbe essere sotto le luci della ribalta. Una storia semplice.
La storia di due ragazzi, tanto amici e forse un po' complici. Che capivano fin troppo cosa volevano l'un l'altro. Una storia che abbia un inizio e una fine, e nel mezzo si divincoli il lento dipanarsi di un gomitolo. Proprio come quelle dei romanzi. Di quelli veri. Non queste pagine sciolte che abbandono in una rete che tutto sommato nemmeno esiste.
Un libro. Uno scrittore. Un sognatore. A Dreamer.
E vorrei che insieme al mio libro allegassero un cd. In cui sono contenute tutte le canzoni che io collego a ciò che scrivo. Perchè quasi sempre quello che scrivo è figlio della musica.
Ritornando alla nostra storia. Vorrei raccontare di un'amicizia. Di un mondo di quelli allucinanti. Fatto di alcool e pazzie. Di stupidaggini fatte per assaporare la propria giovinezza. Un po' per sentirsi vivi un po' per buttarsi via.
Due ragazzi che si avvicinano e si allontanano. Si prendono e più spesso si ignorano.
Una storia che segua un filo logico. Coerente e lineare.
Fino a quando uno dei due ragazzi, quello che sognava di più, quello un po' più diverso. Che ascolta la musica che tutti deridono. Fino a quando uno dei due ragazzi, quello che assomiglia a me, rimane solo. Perchè il suo amico, il suo fratello, muore. Se ne va. Lo abbandona alla sua tragedia. Il ragazzo più bello e intelligente e con più successo lascia il suo posto ad una fetta di vuoto.
Allora il mio romanzo perde i contorni, e il filo della storia si avvolge come un cappio attorno al collo del ragazzo, che è spaventato, e che comincia a chiedersi che cazzo ci sta a fare lui qui.
E poi c'è la droga. E l'abbandono e il rifiuto dei legami. E la fuga.
Il tentativo di rinascere. Il tutto senza lacrime, senza pagine piene di patetico dolore, ma con una serie incalzante di domande e di grida che gli fanno esplodere la testa.
Fino a quando, troppo solo e ormai troppo saggio, si punta una pistola in gola e si fa saltare la testa.
E lo trovano i poliziotti come un Carlo Giuliani dei poveri, degli sconosciuti, e lo raccolgono con la stessa indifferenza, e lo posano in una bara che posano in una buca su cui la gente cammina e su cui, senza sapere assolutamente niente di niente, senza capire e senza nemmeno preoccuparsi di farlo, senza farsi domande e senza pensare di rileggere le pagine più pregne di questo romanzo, posano un fiore privo di alcun significato.
Rimane lì e dice "Io sono qui" nient'altro. Non dice nient'altro.

Ti voglio bene. Ti dico solo questo.