02 May 2007

Again

Certe volte la sensazione è quella di aver tra le mani un pianoforte.
Le mani sono calde e vogliono muoversi. Tutta l'esecuzione è improvvisata. Tutto il repertorio è dentro di me. Ricordo le parole e le righe e le sensazioni che provavo.
E oggi, ancora, mi capita di sentir la mancanza di certi gesti, di certe persone e di certi sguardi. Probabilmente è vero che il tempo è capace di uccidere tutti i ricordi. Io aspetto ancora.

Vorrei scrivervi una storia. Per tutte le persone che sono mai capitate qui a leggere quello che io scrivo. Una specie di ringraziamento. Per chi rimane nell'ombra o come me vorrebbe essere sotto le luci della ribalta. Una storia semplice.
La storia di due ragazzi, tanto amici e forse un po' complici. Che capivano fin troppo cosa volevano l'un l'altro. Una storia che abbia un inizio e una fine, e nel mezzo si divincoli il lento dipanarsi di un gomitolo. Proprio come quelle dei romanzi. Di quelli veri. Non queste pagine sciolte che abbandono in una rete che tutto sommato nemmeno esiste.
Un libro. Uno scrittore. Un sognatore. A Dreamer.
E vorrei che insieme al mio libro allegassero un cd. In cui sono contenute tutte le canzoni che io collego a ciò che scrivo. Perchè quasi sempre quello che scrivo è figlio della musica.
Ritornando alla nostra storia. Vorrei raccontare di un'amicizia. Di un mondo di quelli allucinanti. Fatto di alcool e pazzie. Di stupidaggini fatte per assaporare la propria giovinezza. Un po' per sentirsi vivi un po' per buttarsi via.
Due ragazzi che si avvicinano e si allontanano. Si prendono e più spesso si ignorano.
Una storia che segua un filo logico. Coerente e lineare.
Fino a quando uno dei due ragazzi, quello che sognava di più, quello un po' più diverso. Che ascolta la musica che tutti deridono. Fino a quando uno dei due ragazzi, quello che assomiglia a me, rimane solo. Perchè il suo amico, il suo fratello, muore. Se ne va. Lo abbandona alla sua tragedia. Il ragazzo più bello e intelligente e con più successo lascia il suo posto ad una fetta di vuoto.
Allora il mio romanzo perde i contorni, e il filo della storia si avvolge come un cappio attorno al collo del ragazzo, che è spaventato, e che comincia a chiedersi che cazzo ci sta a fare lui qui.
E poi c'è la droga. E l'abbandono e il rifiuto dei legami. E la fuga.
Il tentativo di rinascere. Il tutto senza lacrime, senza pagine piene di patetico dolore, ma con una serie incalzante di domande e di grida che gli fanno esplodere la testa.
Fino a quando, troppo solo e ormai troppo saggio, si punta una pistola in gola e si fa saltare la testa.
E lo trovano i poliziotti come un Carlo Giuliani dei poveri, degli sconosciuti, e lo raccolgono con la stessa indifferenza, e lo posano in una bara che posano in una buca su cui la gente cammina e su cui, senza sapere assolutamente niente di niente, senza capire e senza nemmeno preoccuparsi di farlo, senza farsi domande e senza pensare di rileggere le pagine più pregne di questo romanzo, posano un fiore privo di alcun significato.
Rimane lì e dice "Io sono qui" nient'altro. Non dice nient'altro.

Ti voglio bene. Ti dico solo questo.

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