31 March 2008

Castelli di rabbia.

Scrivendo una canzone d’amore, una poesia, un lamento di morte. Scrivo sabbia sul muro e scrivo parole in disordine. Scrivo ma non leggo, scrivo e non ho più idee. Rimane il fondo, il colore, un po’ di malinconia. Rimane tanta voglia di diventare grande. Di scappare, di abbandonare tutto e tutti. Di vivere la vita come non l’ho mai fatto fin’ora. E intanto sto perdendo tutto quello che ho, gli amici, i sogni, le forze. Sto perdendo i valori e la lealtà verso chi la meriterebbe.
Folli pagine di un diario di vita. Un piccolo intervallo tra sogni, sigaretta, tentativi di fare qualcosa di buono. Scrivo spesso e vorrei diventare un uomo. Vorrei dare equilibrio alla mia esistenza. Vorrei un colpo di coda possente e vigoroso.
Non mi piango addosso. Assolutamente. Guardo questo disfacimento e ne constato la putritudine. È un mondo selvaggio. Ripariamoci bene prima di uscire allo scoperto. È difficile tirare avanti con le proprie forze. Eppure non ne cerchiamo altre. Vogliamo farcela da soli.
Guardi tutti i segni della tua imperfezione. Guardi la tua vita e ti chiedi quanto in fondo tu possa arrivare. Guardi una ragazza ed ogni volta te ne innamori. Guardi quello che vorresti e ti illudi che sia quello che avrai.
Sangue, merda, sperma.
Il suono di un piano.
Tasti neri. Tasti bianchi.
Resti sulla tua sedia di idee e scrivi castelli di sabbia, castelli di rabbia. Ti senti confuso perché stai cercando qualcosa in più. Stai cercando quel pezzo che ti elevi al di sopra. Stai cercando il nodo che risolva tutti ituoi problemi. Gli amici gli amori la famiglia. Sparirà tutto.
Puf.
Rimani tu, a quattr’occhi con te stesso. Quattro mani con il sangue che stai spargendo.
Testo autografo. Basta computer, ora solo sudore delle mani.
Stai cercando di trovare il nucleo dello scrivere.
Stai cercando l’ispirazione, non quella che arriva ogni giorno e ti induce a sprecare le tue parole.
Cerchi quell’ispirazione che arriva una volta nella vita, passa e va via.
Quell’ispirazione che ti travolge, ti sommerge, e ti lascia lì.
Solo tu e lei.

27 March 2008

Soliloquio

“Eccoci” disse lei “eccoci alle porte del nostro cammino, al principio del nostro slancio. Eccoci nel nostro occidente avanzato e splendente. Ci siamo noi, c’è il mondo e c’è la storia da scrivere.
Noi. I ragazzi dalle mille capacità e dalle mille possibilità; gli intelligenti, i geniali, i promettenti. I ragazzi che si imbottiscono di coca e che si ammazzano ai duecento all’ora ogni giorno. Eccoci qui pronti a spiccare il volo e fare della nostra arroganza un pregio.
Siamo noi, i diciottenni che ogni sabato sera bevono bicchieri e bicchieri di superalcolici per poter raccontarlo poi il lunedì mattina agli amici a scuola. Eccoci ubriachi fradici a ballare in un locale squallido insieme a persone che in realtà nemmeno ci piacciono, persone che però ci trasciniamo dietro come scudi contro le nostre paure.
Siamo i diciottenni che nonostante non siano capaci di provare alcun sentimento continuano a dimenarsi in questo scopare a destra e manca; infilando i loro cazzi in qualunque cosa si muova e respiri, concedendo le loro intimità a qualunque adolescente con la maglietta adatta.
Eccoci tronfi di ciò che siamo senza nemmeno renderci conto che siamo la generazione più fasulla di tutte: la generazione di mille amici su Myspace, dei film scaricati in un pomeriggio. Mentre invece vorremmo essere la generazione del ’68, di Woodstock, dei Gun’s and Roses, dei Pink Floyd e dei Nirvana, la generazione delle prime canne e delle prime sniffate. Inutili parassiti, di internet, di una società che senza sforzarsi ci annichilisce con i suoi tanto stupidi quanto efficaci placebo. Guarda Amici questa sera in tv. Ascolta l’ultima canzone del tuo coetaneo miliardario che tanto ti fa commuovere. Non stare a pensare a quanto sia finto Amici o al fatto che tra pochi anni quel tuo idolo sarà un miliardario dimenticato da tutti, che si devasterà di droghe e puttane per riempire il vuoto lasciato da quel successo inconsistente.
Dove vorremmo andare con questo bagaglio di patetici lustrini? Vogliamo diventare stimati professori, affermati avvocati, manager di successo, poliglotti che sanno relazionarsi con l’universo intero.
Ma fottiamoci.
Non andiamo da nessuna parte perché non siamo ancora capaci di accendere i motori, non ci muoviamo perché abbiamo infilati i piedi in questa merda e ci siamo affondati fino alle spalle, ma intanto continuiamo a sorridere.
Noi e i nostri amici che in realtà detestiamo, o peggio, reputiamo tutto sommato inutili. Ognuno di noi si sente centro di un’elite di cui solo pochi possono fare parte, e per poco tempo, poi vorremo un ricambio perché la moda sarà cambiata. Noi e le inutili discussioni filosofiche da parte di persone che non riescono nemmeno a rendersi conto della vanità di tutto questo.
Siamo fumo e ci crediamo oro.
Io non ci sto più. Io non ci sto. Mi rifiuto di dare il mio contributo a questo quadro così puzzolente. Voglio cercare di distaccarmi da tutto questo, rigetto le mani tese e i sorrisi.
Non ci sto.”

16 March 2008

< Immetti il tuo messaggio personale qui >

Nudo, come corpo morto, cresce ogni giorno il nostro anelito di morte.
Crudo, come un fisico spoglio, vegeta ogni giorno questo cervello flaccido.
Sembra assurdo pensare di essere qui, ora, a scrivere perle che si perderanno come cenere lanciata nell'oceano: una parte, la maggiore, destinata al niente; l'altra, in pasto a qualche pesciolino clemente disposto ad ascoltarmi per pochi minuti.
Scusatemi l'ermetismo e le metafore ferrose ma quest'uomo è ormai ombra di se stesso. Oramai vado perdendo i princìpi e i valori; divento ogni giorno meno di me stesso. Come in un folle contatore ogni volta mi inzializzo sempre con un livello di umanità inferiore.
E non c'è musica, non c'è arte, non c'è sesso proibito che tenga.
Non c'è fuga, non c'è sorriso malizioso che renda questo inferno meno morto.
Oggi è giorno di ermetico silenzio.
E intanto continuo a parlare.
Forse è questo il mio modo di esprimermi. Esrof olos ìsoc im etertop eripac. Osrep. Osrep onos im.
Parlo come penso e penso ciò che scrivo e scrivo ciò che penso. Non c'è autocompiacimento e non c'è maliziosa vanità. Ci sono solo io che piano piano divento sempre un po' più trasparente. Ci sono io, con te con lui con lei e con lei e sempre da solo nonostante tutti voi.
So che è difficile. Lo so.
Sopporterai tutte le lame che ti pianterò nella schiena?
Non dovresti...ma forse chissà...lo farai.
E intanto io avrò consumato il mio delitto, il mio adultero castigo verso me medesimo. Sta tutto in quegli occhi, in quelle parole dette con ostentata indifferenza per dimostrarmi quale significato esse celassero. Sta in tutti quei sogni e in tutti quei chilometri di ferro.
Sta in me e sta in tutti voi che in fondo in fondo ne siete assolutamente consapevoli.
Questo sono io e la verità non può essere altrove che qui, dentro me.
La mia lingua i miei occhi e il mio incesto proibito.
Io e il limite che ormai ho già infranto con un colpo di gola.
Io e me stesso che lottiamo e che intanto spargiamo sperma e avances ovunque.
Io senza una fine perchè continuo come inuna ridicola ruota

14 March 2008

Azzurro

Alle unidici di mattina, seduto su una sedia di vimini, con gli occhi che, attraversando la finestra, si puntano dritti in questo cielo di un azzurro quasi pungente. E, aspettando che questo azzuro riesca a penetrare i tuoi occhi, ascolti una canzone melodicamente triste.
Un altro giorno e un'altra mattina. Un nuovo giorno che stacchi dal calendario e che nella tua vita se ne va. Altre ventiquattro ore di esistenze passate, scivolate, passate. un nuovo giorno che ti allontana dalla vita, ma che ti avvicina a qualcos'altro di ignoto.
Cosa sarà? Qual'è il prossimo approdo?
Nel tuo cielo azzurro passa qualche nuvola bianca, sola, indifferentemente sola. Passa, senza lasciare traccia se non qualche laccio di vapore che rimane sospeso in aria per pochi istanti prima di risolversi nell'azzurro che ancora non ti ha invaso.
Osservi quello spettacolo monotonamente azzurro e sorprendentemente allegro. Ti domandi cosa e dove e chi sei. Ti interroghi sui mille motivi per cui ogni giorno ti senti giusto o sbagliato.
E intanto sono passati tre minuti, altri tre minuti sottratti alla tua sveglia, tre minuti che non rotroverai mai.
Tic Tac Tic Tac
Macabro gioco.
Rimani in piedi con i piedi scalzi di fronte a quell'oceano azzurro e pensi ai rintocchi della tua vita. L'impressione è quello di avere gli occhi ormai annegati di quell'azzurro cielo.
Il cellulare vibra e ti sembra di ripiombare nella realtà ma con forza te ne distacchi e te ne liberi e ritorni a te stesso.
Quale sarà la verità? Perchè sono qui e sono questo?
Sembra davvero non esserci spazio per gioia e felicità.
Pensi agli errori e pensi ai desideri. Pensi a te stesso e alla fuga.
Fuggire.
Fuggire nel nome di una diversità congenità. Diversità che non è diversità dagli altri ma è solo diversità da se stessi. Rimani immobile e un po' di quell'azzurro comincia a sgorgare dai tuoi occhi.
E vuoi amore e vuoi pace.

10 March 2008

THIS IS ME THIS IS WHAT I AM

Forse è il momento di parlare, tralasciando le storie le virgole e tutte quelle cose complicatamente belle. Perché alla fine chi scrive qui sono io e chi ci mette la testa e il cuore sono io. Quindi alla fine l’argomento di tutto questo sono io, no?
Alla fine quello che scrivo qui è riflesso di quello che vivo nel mio aldiquà. Alla fine non c’è nessuna finzione. Allora è il momento di parlare, di dire cosa sento, di dire cosa sono. Perché magari cospargermi di estetismo porta solo a fraintendermi. E tante volte finisco che non riesco ad esplodere come vorrei, o dovrei. Alla fine mi dilungo in fiocchi tanto lucenti quanto trasparenti.
Io sono io. Io sono io e alla fine io sono protagonista di tutto questo schifo. Alle fine queste storie, questi monologhi tante volte deprimenti sono solo lo specchio di quello che sono e di quello che vorrei dire alla gente, solo che molto spesso filtrando le cose allora finiscono per diventare nebulose.
Allora vi dico cos’è la mia vita.
Vi dico cosa sono io.
Io sono una persona, un essere umano, sono un diciottenne che alla fine sogna sogna e tutto quello che può ottenere è uno spazio virtuale, che nemmeno esiste, in cui vomitare di tanto in tanto nella speranza che qualcuno possa adorare quello che scrivo. Sono un diciottenne con tutte le sue sfighe.
Eppure qui mi fingo qualcos’altro, mi fingo qualcosa di etereo che genera immagini, poesia, genialità. Sono una merda che cerca di sputare diamanti. Sono la terra che sogna il cielo e sono gli occhi marroni che vorrebbero essere azzurri.
E per favore non pensate che io sia sempre sull’offensiva: è tutto il contrario. Se volessi essere cattivo, se volessi dire tutto il male che penso non scriverei di certo testi che cercano di essere belli. Scriverei tutto l’acido che ho in bocca e sarebbe uno schifo.
Io sono sulla difensiva, mi nascondo e ogni tanto sparo qualche lamentela o qualche timido versetto arrabbiato. Ogni tanto faccio l’arrogante per non dover abbassare sempre gli occhi e subire in silenzio. Eppure tante persone dicono che sono presuntuoso, vanitoso e via dicendo.
Non voglio dire di no perché non sono nessuno per dire cosa o come sono ma perlomeno il mio intento non è quello. Io mi sono aperto, e mi sono scoperto. E per un sacco di tempo sono stato bene.
Ma è stato proprio aprendomi agli altri e entrando io stesso dentro loro che ho cominciato a trovare un marcio che loro nemmeno riescono ad intuire.
Io sono io e scrivo quello che sono. Mi dispiace essere sbagliato e essere alla fin fine semplicemente debole. Perché alla fine questi testi sono un capriccio per cercare e ottenere l’attenzione degli altri, di quegli altri di cui mi lamento. Questi testi non sono di velluto ma rimangono nella loro piatta normalità. Niente che si eleva al bello e niente che si schianta nello schifo. Mediocre. Come me.
Allora cosa faccio?
Io continuo in questo coro solitario di lamenti, di bla bla bla e di suppliche.
Io sono io e vorrei non dovermi lamentare di voi per poi in realtà implorarvi di essere un po’ migliori. Io sono io. Purtroppo. Quello che scrivo sono io e io sono solo quello che sono. Anzi. Quello che scrivo è meglio di quello che sono perché in quello di scrivere posso riversare tutti i miei sogni e le speranze che nella realtà vengono costantemente disilluse.
Questo blog continua la sua patetica attività. Continua a sfornare merda e a servirvela su pizzi ricamati con gemme e quant’altro. Ma il tutto rimane comunque una pietanza, a base di merda.