29 August 2010

EPILOGO - Sullo scrivere

Applausi.

È rimasta solamente la vena più sottile e dolce. Quella che tiri fuori quando ogni brandello di forza è caduto, quando è tutto in frantumi.
Vorrei dire tutto con un’unica parola. Mi spaventa ciò che può succedere tra l’inizio e la fine di una frase. Ogni parola in più è una sofisticazione.

La platea è completamente vuota.
Solo voi, pochi coraggiosi, seduti sparsi qua e là.
In fondo è nero. Spaventoso.

Non è una questione di tempi, di pause, di lessico. Non riguarda le parole, la metrica. Non centra nemmeno con me o con te. È solamente su se stesso. Sull’atto in sé.
Scrivere per dire pregare invocare, una poesia una canzone, mi serve un mezzo per raggiungerti. Non in superficie ma nello strato più profondo, quello essenziale, quello in bianco e nero, quello fatto di te.
Ho bisogno di parlare a quella parte di te che rimane nascosta sotto le maglie di metallo della tua cotta, sotto le piume del tuo travestimento, sotto la carne della tua umanità.
Non ho imparato nulla, né dal passato né dagli errori.
Non posso, non so imparare.
Va bene così. Tutto il dolore dell’universo non basterà a farmi cambiare, non mi renderà migliore, non farà di me una persona buona.
A me basta che m’insegni come raggiungere te. Come arrivare a toccare, con le mie parole, te. Perché mi spendo in mille cose, mi distraggo, mi muovo, mi affanno, eppure sono e rimarrò per sempre solamente questo: un testo.

Parole rime versi segni scritte frasi. Idee.
Sono la mia musica e sono il mio verbo. È l’unico modo che ho per esprimermi: non sono bravo con le parole, non sono bravo con i fatti, non sono una persona coerente, seria, leale.
So solamente scrivere.

Posso andare da A a B unicamente con le parole che scrivo. Posso ringraziarti del tuo starmi vicino unicamente con le parole che scrivo. Con queste parole posso dirti grazie per avermi ascoltato, per avermi dato una pacca sulle spalle, posso dirti che se non avessi avuto te mi sarei perso in quella città sconosciuta. Se tu non mi avessi raccolto mentre ero in terra, nudo e spaventato, non sarei qui ora.
Scrivo perché non ho il coraggio di vivere la vita.

Da quando il cielo è diventato così chiaro di notte?

Qui affiora solamente la punta dell’iceberg. Ho centinaia di fogli, di ritagli, di taccuini. Ho speso parole in ogni momento della mia vita. Ho sempre tentato di rimanere al passo con la mia vita.

Ho distrutto tutto. Ho fatto terra bruciata intorno a me. Era quello che volevo?
Ho distrutto tutto. Ho sbriciolato la mia esistenza. Ho vomitato tutto il sangue che avevo in corpo. Ho ucciso, ferito, violentato, rubato.

Ho rubato a te la tua anima, ho rubato a te un segreto.
Ho violato il sacro, ho sfregiato e ho profanato. Ho amato troppo. Non sono stato capace.
Ho voluto troppo, ho perso tutto.
Ho vissuto una notte dentro un silenzio ed una promessa.
Ho ucciso le stelle e ho fatto ammutolire i cieli.

Ho fatto provare vergogna a Dio, perché sono stato ingiurioso ed abominevole.

Ora ho un motivo in più per smetterla. Per voltarmi verso qualcos’altro.

Non per presunzione, non per sofisticatezza.
Mi sono spinto troppo in là.
È ora di imparare dagli errori.

Quindi qui si chiude questa avventura. Questo stupido diario, questo porcile, questa discarica. Questo blog, questo feticcio.
È il momento di smetterla. È il momento.
Ora faccio calare il sipario sulle mie parole.

Saranno altri a leggerle, in altre forme, in altri modi. Troverò un’altra strada: più mia, più figlia del mio cambiare.

Qui saluto e ringrazio tutti.
Per la pazienza.

Ho davvero finito le parole.

27 August 2010

Testamento

Quando hai un coltello nello stomaco, cosa conviene fare? Rimanere immobile, cercando di minimizzare il dolore, per non sentire quanto a fondo è penetrata quella lama? Oppure afferrare con tutte le tue forze il coltello e strapparlo fuori, non importa se budella viscere e sangue sgorgheranno dalla ferita…

Se riesci a trovare pace solamente sotto il getto bollente di una doccia, e resti lì, minuti su minuti, come se quella pioggia tiepida potesse cancellare il mondo che sta fuori. Come se le pareti di vetro del box potessero proteggerti dalla realtà. Come se facessi parte di un mondo in cui sei accettato anche così, nudo, debole, umido.

Se hai bisogno di non fermarti mai perché se ti fermi allora uno tsunami di pensieri finisce per travolgere ogni forma di equilibrio. Se hai bisogno di rumore perché non vuoi sentire l’eco di ciò che già sai.

Se ascolti solamente Bjork, perché è qualcosa che non puoi capire, e a cui perciò non devi rispondere.

Sento il sapore di una stupida musica. Ascolto il ticchettio della pioggia sul vetro della finestra, mentre la tristezza mi avvolge come miele. Sento la pioggia fuori ed un caldo silenzio dentro. I muri, che non mi conoscono, rimangono a far da sponda ai miei respiri. La mia cortesia. Un campo minato di specchi, occhi e domande. Risposte che non ha senso cercare, libri luci situazioni. Un film che è solo mio e tuo. Una di quelle storie scritte male, retoricamente sbagliate. Restano le frasi che non restano. Restano tutti quei momenti di umido rumore che si spargono su di me.

I fantasmi ci sono e sono intenzionati a rimanere, la mia invidia rimane, le speranze hanno lasciato spazio da tempo alla matura disillusione.

Se spendi i tuoi sogni nelle sere sbagliate, se ti senti incatenato ma sei affezionato al tuo carceriere, se sai che è ora di andare ma hai bisogno di tempo, perché spezzare le corde richiede coraggio e forza.

Vedi, non so se riuscirai a capire, perché io stesso ho rinunciato a darmi delle ragioni. So che mi odierai, ma lo preferisco. So che penserai a me e mi maledirai, ma lo preferisco. So che sbaglio, ma lo voglio. So che salto da una rupe senza elastico ai piedi, so che incrocio le mie labbra con il diavolo, so che vendo la mia anima al peccato della solitudine, so che sbaglio nello scendere dal palco nel momento cruciale della messinscena. So che nonostante ciò che so non potrò fermarmi. So che le favole sarebbero fatte per un lieto fine, so che i sogni sarebbe bello realizzarli, so che le tentazioni andrebbero rifuggite.

Eppure io sono questo.

Sono un coltello infilato nello stomaco, sono costretto a nascondermi sotto il getto di una doccia bollente, sono una vittima che ha perso il lusso di potersi fermare; e tu. Che mi fai ascoltare ed apprezzare Bjork.

È bello essere soli.

È ciò che rende più forti.

È bello non aspettarsi nulla.

È bello vivere solo l’oggi con me stesso, senza domani e senza compagnie.

È bello.

12 August 2010

Vento

Rimanere a lungo sotto la doccia calda fa bene all’anima. Anche al cuore.

Piove umido su una rabbia acerba, sul continuo nervoso che permea questi giorni, questi momenti. Qual è il problema? Beh, è una questione di piccole speranze, di dolci illusioni, che si spengono ed accendono. Prima è il sole poi è il black out.

Niente ti disseta e per questo non riesci a rispettare niente. Vorresti essere là ed in quel tempo, non qui ed ora. È difficile e difficilmente comprensibile. Non è chiaro e non lo è nemmeno per me.

Sento che dentro la mia mente c’è vita, attività, un piccolo neurone corre impazzito. Eppure sono immerso in questa marmellata: dolce ma maledettamente mediocre.

Ci si vomita addosso perché ci si rende conto di condurre una vita insipida: vuoi prendere scappare andare. Oppure desideri un dramma, una sofferenza che ti veda protagonista. Hai bisogno di quel lato di violenza che rende ogni storia unica. “Tutte le famiglie felici sono felici allo stesso modo. Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. È tutto qui, l’ha già detto quel russo bastardo. È una sofferenza a renderci speciali, è l’esser protagonisti di un dramma che allieta la nostra sete.

E allora ti vedo davanti a me, immagino il tuo corpo la tua pelle e i tuoi capelli. So che sei irraggiungibile e ti avverto lontana. Allungo una mano sulle tue spalle, sui tuoi seni. Lavo con un sapone di dolore il tuo corpo e la schiuma corrode i miei occhi, il mio naso, ogni via che porta il mio respiro verso il mondo. Le mie mani scorrono su di te spellandosi e graffiandosi. Eppure è dolce come una notte di pace. È bello ed è quello che vorrei.

Tu io lei. Sempre dove può cadere un peccato nella distanza nella consapevolezza nel corpo dentro il tuo, nel peccato che scivola tra le tue labbra nel dolore che esplode dalle mie mani.

Esiste un attimo in cui il silenzio diventa pace, in cui la forza diventa musica. In cui il corpo diventa un vate. In cui le mie mani sono radici e tu puoi nutrirti di me.

E sei una droga e sei un cerchio, e io dipendo da te e tu mi costringi a questo doloroso ritornar su me stesso. Per me per il mio dramma. Bagno le mie dita nella tua presenza, bagno le mie labbra con le tue. Scivolo e volo all’ingiù dentro un inferno di possibilità.

Tu tu tu tu tu tu tu. Cazzo tu. Sempre tu. Mai io. Io ho smesso di esistere. Tu tu tu tu tu tu tu e la mia rabbia. Solo rabbia non presenza, non essenza, non consistenza. Non ci sono sono tuo e sono invisibile e tutto quello che posso fare è rimanere fradicio di desideri sotto il getto di una doccia calda. Sentire il tuo corpo in un vapore, vedere i tuoi occhi dentro una goccia.

Brucio e con me brucia la mia casa la mia storia la mia famiglia i miei sogni le mie mani i miei occhi. Mi piace da impazzire questo dolore atroce nel petto. Mi piace sentire le tue labbra come ferri ardenti sulla mia pelle. Le tue mani come rostri che strappano lembi di pelle, i tuoi occhi che scavano il mio volto. E mi sfregi e mi strappi e mi sputi e mi insulti con ogni tuo movimento. Sai mordere fino ai nervi.

Io e te. Con una paura fottuta. Nella confusione di un lenzuolo, nei tuoi capelli sparsi come pugni di sabbia sul cuscino. Io fermo senza più parole perché me le hai strappate tutte dalla gola. Tu stesa, ad ogni respiro un seno si scopre, bianco come il latte. Ti osservo e sulla tua schiena si riflettono tutte le luci della città. Di tutto il mondo. Della mia prigione. So di esser qui. So di non capire cosa tu, abbracciata in quel lenzuolo, sia. So che ogni istante serve per innamorarsi di quello successivo. So che un corpo spezzato può raddrizzarsi ma non risaldarsi. So che esistono angoli di buio in cui è concesso lasciar crescere muffe e ragnatele. So che tu hai la forma di uno spaventoso peccato.

Solo non so, mentre ti guardo, fermo immobile, cosa tu stia sognando.