25 February 2008

Parigi. Ore 3

Ore tre. La mattina di Parigi sembra stendersi ovunque in un nero manto uniforme. In lontananza vedi i giochi di luce che si creano sul fiume. È tutto blu notte, qualche lampione qua e là. Qualche passante che ti supera e se ne va verso casa. E tu sei lì. Solo nella notte parigina seduto su una panchina di legno verde. Di fronte a te il mondo. Dinnanzi a te un universo fatto di buio, di piccoli puntini di luce, di persone che passano e vanno.
Sei lì e ascolti la musica di un artista di strada che, armato di solo violino, sta provando a dare a quell’universo qualcosa di nuovo. È tardi, è notte inoltrata eppure lui continua a suonare quelle sue melodie così dolci e diaboliche.
Ad un certo punto gli si avvicina un signore anziano. La barba bianca, i vestiti un po’ logori e un cappello a nascondere la sua nuca ormai calva. Il vecchio guarda il violinista fino a quando questi non lo nota a sua volta. I due si scambiano un sorriso. È allora che il vecchio con la barba bianca apre la sua valigia e ne estrae alcuni pezzi cromati che va ad assemblare con cura. Infine si siede di fianco al suo compare violinista, appoggia le labbra al bocchino ed incomincia a seguire il suo nuovo amico in un duetto di violino e sassofono.
All’inizio ti sembra che quell’abbinamento cozzi, che il nuovo arrivato distorca con quel suono così gommoso i sottili acuti del violino. Eppure piano piano i due cominciano ad intendersi, iniziano a seguirsi ed inseguirsi. Uno scarta in una direzione e le note del suo amico dietro. Ogni salto, ogni capriola sono improvvisatamente perfette. Ogni sguardo tra i due rende la musica migliore.
E non sai nemmeno come ma ti senti felice. Inspiegabilmente quella musica dilata i pori della tua pelle, ti manda in iperventilazione e ti fa inspirare angosciosamente. I puntini di luce corrono fuori fuoco, si dilatano e prendono a schizzare in tutte le direzioni. Anche loro tentano di inseguire i due suonatori. I riflessi sul fiume si scatenano in una danza magicamente lucente.
Tu sei lì. Crocifisso alla tua panchina che guardi quei due bambini rincorrersi e vorresti avere anche tu uno strumento per unirti alla loro gioia.
Ad un tratto il vecchietto dalla bianca barba si ferma. Sorride al suo compagno di scherzi si rialza e se ne va.
“ Fermi!” le parole escono quasi urlate.
Il vecchietto non ti ascolta e va via.

23 February 2008

Siamo solo noi.

Un mare profondo come l’universo. Ecco cosa siamo. Siamo vuoti ricolmi di sentimenti. Siamo atomi e siamo costellazioni.
Siamo esseri umani e siamo unici nella nostra inutile perfezione. Ogni nostro gesto, ogni nostro passo pensiero o ideale lo reputiamo il più alto e il più perfetto. Siamo unici nella nostra monotona uguaglianza. Siamo stelle, così come siamo polvere.
Siamo le menti e siamo il braccio. Ogni giorno torniamo alla vita ed ogni giorno i nostri sogni ci incollano la gola ad una ghigliottina di delusioni.
Siamo la vita ma rappresentiamo la morte. Siamo portatori della morte in quanto essere esistenti, viventi. Siamo la dualità. Siamo la dicotomia.
Siamo tutto perché siamo immersi nel niente, e per questo ci aggrappiamo alla nostra facoltà di sognare, di credere alla nostra felicità, all’amore e al peccato.
Siamo i figli di Dio che a Sua immagine e somiglianza sono stati creati. Siamo i figli del Diavolo perché a Sua immagine e somiglianza ogni giorno ci evolviamo.
Siamo il fruscio che si cela tra le foglie. Siamo il silenzio che rimane sospeso tra due amanti. Siamo l’anelito infinito di vita che ci segna dentro.
Siamo l’infinito.
Siamo uomini e siamo animali.
Siamo il sorriso di un neonato, siamo le carezze di nostra madre. Siamo i sogni di chi ancora sa sognare, siamo le lacrime di chi ancora sa vivere.
Siamo il tempo, la paura e la vecchiaia.
Siamo le rughe di un signore anziano che, solenne nel suo incedere, ci sembra così troppo anziano. Siamo le premure delle nonne che ci amano e ci abbracciano.
Siamo il vago profilo che ogni notte imprimiamo sul nostro cuscino e che ogni mattina cerchiamo di ritrovare negli altri.
Siamo liberi di tutti i nostri abiti firmati, degli occhiali dei braccialetti e degli orecchini. Siamo la pelle nuda e violentemente carnosa. Siamo l’urlo che spontaneo si scaglia contro gli ostacoli. Siamo il sudore e l’impegno. Siamo la lotta.
Siamo quel profumo leggero che senti quando non sei concentrato su nulla. Siamo il respiro dei bambini. Siamo anche i respiri interrotti di un atleta dopo lo sforzo.
Siamo i tasti bianchi e neri di un piano. Gli accordi incatenati tra loro.
Siamo su un’altalena in un giorno di inverno, siamo su una panchina nel freddo dell’autunno.
Siamo vita e siamo vivi. Siamo morte e siamo debolezza.
Siamo l’acqua che non smette mai di scorrere. Che nel suo procedere si inquina magari, a volte evapora troppo presto ma poi tutte le acque alla fine sfociano nel mare. Siamo tante gocce in un oceano. Siamo dieci dita nelle mani. Siamo tante mani nelle mani.
Siamo l’amore di una madre, di un padre. Siamo l’amore di chi si scambia i corpi. Siamo l’amore di chi sacrifica la propria vita. Siamo l’amore che aiuta chi davvero ne ha bisogno.
Siamo persone che tutte insieme formano un’unica persona così malfatta che sembra quasi una presa in giro. Però insieme siamo qualcuno.
Siamo la rabbia dei ragazzi esclusi. Siamo quei reietti che vogliono distruggere il mondo. Siamo il desiderio di libertà.
Siamo la musica, l’arte, il cinema. Siamo il cinema la domenica pomeriggio con gli amici. Siamo il ristorante al lume di candela con la persona che ami.
Siamo un pomeriggio speso con un amico a vivere. Siamo un pomeriggio speso con un buon libro.
Siamo tutto e quindi siamo impossibili da spiegare.
Siamo ciò che razionalmente non si riesce a giustificare. Siamo l’unione dei contrari ma siamo irrimediabilmente perfettissimi.
Siamo corpo e anima.
Siamo quando un paesaggio ti fa commuovere.
Siamo quando tuo figlio diventa tutto il tuo mondo.
Siamo quando l’amore ti fa diventare una persona migliore.
Siamo noi. Solo noi.

18 February 2008

I am

Ieri sera stavo guidando; la strada, i contorni delle case, tutto sfilava lento e noioso. Gli alberi infogliati e le luci dei lampioni che sfumavano le persone. Guidando pensavo a come il niente fosse parte di me, a come tutto questo caos che ci avvolge e ci sconvolge altro non sia che un piccolo moto confusionario in un universo tutto sommato tranquillo, che nemmeno si accorgerebbe della mia mancanza. Guidavo e intanto pensavo a quante sciocchezze ci confermiamo ogni giorno nella mente, a quanti inutili accessori ci servono per poter esser un niente.
Ci pensavo e mi chiedevo che senso avesse tutto questo. Mi domandavo se per caso questa vita non fosse altro che un frangersi e ritirarsi di onde e di maree…ciclico, monotono, tutto sommato scontato.
Dentro l’anima ti senti un impeto che sembra dover esplodere; senti come sia inaccettabile che alla fine tutto questo non abbia significato. Avverti chiaramente come questa eventualità non è nemmeno concepibile; ti rendi conto del fatto che ti stai dimenando come un ridicolo animale.
Mentre guidavo mi sembrava di avvertire questo nulla tutto intorno a me, mi sembrava di sentirlo fuoriuscire da me. Io ero il nulla; io ero la disperazione.
Troppo inutile anche per lanciarsi a tutta velocità contro un muro.
Troppo inutile per permettermi la vanità di un suicidio.
Troppo insignificante per aver questo impeto di forza.
Quale forza dovrei dimostrare? Quale forza dovrei fare esplodere? Io… io che sono semplicemente io, nella mia insulsaggine, nella mia semplicità. Io che continuo ad avvertire il nulla senza il coraggio di accettarlo. Io che ho capito quanto sia meschino tutto questo; io che sono troppo leggero; io che mi mordo le vene. Io che spero nella fortuna, in un angelo forse, in un sentire diverso da quello di ieri. Che spero in un colpo di scena che so non esistere.
Io in un’esaltazione sempiterna delle mie debolezze e dei miei difetti.
Io che non sono fedele perché troppo debole.
Io che non sono leale perché troppo debole.
Io che non sono umano perché troppo debole.
Io che non sono, perché troppo debole.
E intanto rimani con lo sguardo fisso sul niente, sui consigli che non vuoi ma che ti vengono comunque dati. Sui suggerimenti di chi pensa di poterti dire la parola giusta. E tu vorresti semplicemente qualcuno che ti facesse sentire vivo, senza voler niente per sé. Qualcuno disposto a concedersi come un’amante o forse come una puttana. Qualcuno che ti permetta di fare scempio di lei senza poi chiederti il conto…senza poi domandarti ragioni.
E intanto rimani con gli occhi umidi puntati sul senso di infinita insoddisfazione della tua vita.
E intanto rimani lì, solo, leggero, troppo leggero. Rimani a chiederti tutto questo dove può condurti. Dove può portarti la coscienza di questa condizione che dilania e viene ogni notte dilaniata.
Rimani lì, così, senza un senso, senza più domande, senza più nessuna risposta che non sia un’altra domanda.

14 February 2008

Va tutto bene?

Il cellulare vibra, è arrivato un messaggio.
So già chi è, mi immagino già cosa mi dirà.
Che noia tutto questo. Che tormento infinito.
Prendo il cellulare; lo spengo.
Per stasera sono da solo.

11 February 2008

Di sera presto.. in preda al male.

Come sono tristi le storie umane… come sono banali…
Sembriamo tutti attori di uno show pietoso, lento, ripetitivo, scontato.
Corriamo come fanatici avanti e indietro alla ricerca di qualcosa… un qualcosa che non ci figuriamo, che non capiamo e che sicuramente non conosciamo. Anzi…ne conosciamo il nome ma in realtà non l’abbiamo mai sperimentato… continuiamoci a muovere, nessuna sosta.
E nel frattempo i nostri giorni appassiscono e ci rendono ogni secondo più vecchi. Ci sentiamo come profughi che vagano verso una meta che non conosco ma che si limitano ad auspicarsi.
E dopo una serata passata tra lacrime e singhiozzi ti fermi e ti domandi se il tuo è un percorso o solamente un vuoto a perdere. Ti chiedi se c’è la soluzione. Se esiste una via d’uscita.
La domanda più fremente è quella che dice “ci sarà mai qualcuno che mi farà sentire vivo?”.
Io continuo a cercare una risposta, sto cercando qualcuno che mi possa fare sentire di nuovo elettrico, qualcuno che possa ascoltare senza pensare a quanto è insipido, a quanto stupide siano le sue esternazioni. I miei amici non hanno nessuno charme su di me, si dimostrano poco, si mostrano piatti, trasparenti. Non c’è nessuno che mi fa strabuzzare gli occhi, nessuno che mi faccia emozionare quando gli parlo.
Io intanto lo cerco, continuo a vedere se esiste quel qualcuno che diventerà mio fratello, o magari si trasformerà in un mio genitore, oppure sarà qualcos’altro, qualcosa che nemmeno riesco ad immaginare.
Io cerco cerco e cerco senza nessun risultato perché non c’è nessuno che si riveli alla mia altezza, non ci sono labbra che emettono frasi realmente elettriche, non ci sono cervelli abbastanza validi.
E mi chiedo cosa mi aspetta allora. Se non c’è nessuno per me, chi devo cercare? Se davvero nessuno è pronto per capirmi, in chi posso rifugiarmi? Ho davvero solo me stesso?

03 February 2008

Velocità

La luce da verde diventa gialla, infine si assesta tremolante sul rosso. La pioggia continua a scendere fastidiosamente come un vaporoso corpo solido; il tergicristallo viaggia avanti e indietro avanti e indietro senza sosta.
Scatta nuovamente il verde e lentamente lasci la frizione…la macchina saltella in avanti e dai gas.
È appena mezzanotte e tre quarti ma questa parte della città sembra essere completamente addormentata. Qualche casupola sparsa qua e là in mezzo ai campi, i lampioni malandati ai bordi della strada. Ti senti come in mezzo al nulla.
Mentre la macchina accelera tu ingrani le marce: la seconda, la terza, e anche la quarta.
Anche se i limiti di velocità sembrano sconsigliartelo tu continui ad aumentare la tua andatura, continui ad accelerare e il rombo della macchina si fa sempre più insistente.
In mezzo alla pioggia vedi poco o nulla; la strada ampia, l’illuminazione che diventa più un fastidio che un aiuto. Sei concentrato al massimo delle tue capacità, osservi ogni frammento di realtà che riesci a percepire tra gli schizzi dell’acqua, segui la linea lucida al centro della strada. La lancetta continua a salire e tu ingrani la quinta.
La tua macchina, piccola, certamente non fatta per corse folli su una strada affogata, guaisce flebilmente mentre il contachilometri prosegue la sua scalata.
130… 140…
Ti senti un fruscio sull’asfalto, un alito improvviso e repentino che sfreccia a tutta velocità. Intanto nella radio riesci ancora a percepire il fischiettio di una canzone dei Beatles che canta di Jude e della sua vita difficile…
“..Hey Jude, don’t make it bad..”
160…170…
Ecco la tua vita, ecco la natura viscerale della tua vita: ecco ti a sfrecciare come un pazzo nella notte, con le ruote che accarezzano l’asfalto, lanciato come un anatema attraverso una strada di campagna dimenticata da Dio.
Non c’è dettaglio che ti sfugga; non c’è curva che non imbocchi con precisione assoluta, non c’è lacrima che trattieni. Con gli occhi feriti continui la tua corsa; senza espressione, senza sentimento dipinto sul viso se non quelle due lacrime parallele che ti percorrono il volto. Hai in mente solo la strada e la velocità.
180…185…
“…and anytime you feel the pain, Hey Jude refrain…”
Non capisci cosa ti spinga a volare sulla strada con quella aggressività, con quello spirito di rivalsa.

Alla fine tutto si spegne, la velocità, la realtà che sfrecciava via come se inesistente diventa nuovamente concreta. Da lontano vedi i fari rossi di una vettura che ti precede; rallenti, scali in quarta poi in terza, ti adegui alla sua andatura.
Ora sei di nuovo parte di questo mondo.
Non è nemmeno l’una di notte di sabato sera eppure ti senti esausto e vuoi solo andare a casa a dormire.
“…Hey Jude don’t make it bad...”