Tatto
Per i contatti con i miei amici, le spinte, le pacche, le strette di mano vigorose che dicono che siamo tutti e due della stessa pasta; spalla contro spalla, condivido con loro la forza di un corpo che è cresciuto insieme ai loro. Siamo diventati uomini tutti insieme e diventiamo l’uno la forza dell’altro.
Per la superficie ruvida del volante della mia macchina, per tutte le volte che ho stretto quel cerchio direzionando la mia vita, sognando di essere grande, sognando di volare altrove. Per le frecce, il cambio, gli abbaglianti ma soprattutto il volante. Timone della mia vita, che scarta quando la strada sembra diventa crudele, che marcia imperioso quando scelgo il mio futuro.
Per la sabbia che scivola fra le dita.
Per i miei disegni e per i tasti che premo quando scrivo.
Per il sapore agrodolce della speranza, quando per un istante hai l’impressione che tutto stia andando davvero bene e ti lasci invadere dal sapore della speranza, fragranza insaziata.
Per quel gusto un po’ strano che lasciano le delusioni. No, non è amaro in bocca. È il sapore confuso dei tuoi pensieri che disordinati tentano di scappare.
Per le serate passate ad un tavolo con gli amici; in un’osteria, in pizzeria, dovunque. Noi insieme, che veniamo prima di tutto e tutti, prima delle gelosie, prima dei tradimenti, prima della fine di ogni amicizia.
Il sapore del sesso, dell’amore. Il sapore della pelle della tua amante, le tue labbra su di lei, sui suoi seni, sulla sua essenza, sulla sua anima, gustando a fondo il sapore dell’amore.
Il sapore del sangue. Quello che senti quando qualcuno decide di affermarsi su di te con la violenza, o quando cadi dopo aver osato troppo. O quando sei talmente incazzato con il tuo migliore amico, ormai ex, che ti ha fatto ciò che non doveva fare: è cambiato. Amaro del sangue che esce dalle piaghe della solitudine, sangue che spremi da ogni poro del tuo corpo quando urli disperato tutto il tuo dolore, quando ti laceri la gola, quando con il sangue avverti chiaramente il sapore delle lacrime, quando tutto diventa buio perché il tuo dolore ha oscurato tutto, e tu sei solo…solo con quel sapore di sangue.
L’odore dei libri, quell’odore che mi accompagna da una vita, l’odore della conoscenza, dell’unica via verso l’immortalità dell’anima. L’odore che sprigionano i libri mentre li sfogli, come se ogni capitolo dovesse esser accompagnato da una fragranza differente.
L’odore della scuola, dei banchi, del gesso disperso nell’aria. L’odore dei corridoi e quello di migliaia di ragazzi ammassati in un pianerottolo piccolo come il centro del mondo.
L’odore degli altri.
Il profumo di erba, quell’inconfondibile aroma esotico che solo la cannabis bruciata sembra saper portare in questo occidente cementizzato e illuminato. Le mie piante, le cartine stropicciate.
Il profumo che mi metto solo nelle occasioni speciali, quando voglio esser sentito, quando voglio imprimermi nelle narici del mio prossimo.
L’odore dello smog, che ci accompagna giorno dopo giorno e che tenta di ucciderci da abituati.
La puzza di merda dei tuoi sogni in decomposizione. La puzza di un cadavere sulla strada. Te. Il tuo futuro, inevitabile destino.
Profumo di magnolie.
Profumo di pesche.
L’odore delle ali che solo io possiedo.
La musica compagna di una vita, una canzone per ogni periodo della mia esistenza. Una canzone per ogni tragedia, una canzone per il mio lieto fine. Una canzone per tutte le volte che il mio cuore ha tremato, per ogni volta ch il mio sangue è rimasto sospeso tra l’immobilità e la sua folle corsa verso la morte.
La musica ma anche il suono delle parole. Amici, amori, la voce dei miei genitori, le mie grida contro tutto quello che non mi piaceva. Le parole e le discussioni sulla politica, l’amicizia, i massimi sistemi, i minimi, sul sabato sera, sulla droga, sulla figa. Le ramanzine.
I “ti amo”. Ogni volta che ho sentito le tue labbra pronunciare quella poesia alle mie orecchie.
Per i rumori inquietanti che si sentono prima di addormentarsi.
Per il rumore della metropolitana di Milano, per il suo caos di macchine e motorini.
Per tutta la dolcezza che puoi udire se solo ci provi.
Il suono della campanella.
Le battute idiote.
Per le ore infinite passate a parlare, con tutti, con chi ancora è qui con me, con chi al contrario non c’è più, perché ha deciso di allontanarsi o perché io mi sono allontanato da lui. Le ore in cui ho parlato di tutto, a volte a sproposito, a volte a ragion veduta.
Per tutti i segreti confessati nelle orecchie. Per gli insulti gridati a squarciagola. Per tutte le volte che ti ho fatta incazzare e ti ho sentito piangere al telefono.
Le voci di chi mi ha accompagnato in questa vita.
La mia voce tremante, quella volta che ho letto le mie cose davanti ad un pubblico vero, venuto lì per ascoltarmi.
La vocina nella mia testa che mi parla, che mi consiglia, che molto spesso mi sgrida.
Le grida. Gli urli. Di giorno, di notte, da solo, in faccia agli altri, per esultare, per insultare, per pregare o per offendere. I rumori della città che da quando ti svegli fino a quando ti addormenti sempre ti accompagnano.
Il suono del pianto di un neonato.
La vista del sole, pochi secondi, perché di una bellezza troppo folgorante.
L’arte. I quadri che tolgono il respiro o che lasciano interdetti. Arte arte arte. La vita come indagatrice e come veicolo di comunicazione.
I volti nuovi, sconosciuti, che devi approcciare. I volti conosciuti, sempre i soliti, ma la cui vista sa infondere una sicurezza solida come le fondamenta di un palazzo.
Le schiene degli amici che ti hanno abbandonato; i sorrisi di quelli che restano.
Il corpo nudo della tua amante, ogni suo dettaglio, ogni ingranaggio di quel corpo perfetto. Dai capelli fino al più minuto dei sorrisi. Quando ti guardo dormire, bellissima, infinta. Guardando te e vedendomi in te riflesso. Le tue palpebre chiuse che dischiudono lemie, che mi fanno vedere, ogni volta per la prima volta, ciò che davvero è importante. Nella tua immobilità mi trasmetti l’emozione di tutti i movimenti possibili, di ogni possibile contrazione di un muscolo o di una cellula. In te posso vedere l’universo perché tu sei per me veicolo di salvezza.
La vista appannata dalle lacrime quando ridi tanto da mozzarti il fiato. Quando vedi il tuo interlocutore che ride quanto te. Che magia…
La vista oscurata dal dolore, la vista che viene sommersa dalle lacrime e dalla disperazione. Ogni volta che ho visto il mondo restringersi a due fessure perché il mondo stesso era stato troppo duro con me. Le lacrime facevano tremare tutto, e lo stesso faceva il dolore. Cercando di spezzarci come bacchette di legno, per puro gusto, per sadica vocazione.
Le fotografie che cercano di ordinare gli eventi tumultuosi delle nostre vite. La fotografia dei nostri genitori insieme, di noi bambini. La foto che abbiamo scattato e che ci sembra così splendida. Le foto che ancora faremo, ogni storia ancora da scrivere.
La foto di noi insieme. Tutti quanti, tutti noi. In una foto che possa serbare in sé tutto il bello del passato, tutto il bello del presente e tutte le speranze del futuro. Tralasciando gli errori e le disavventure, imprimendo sul negativo soltanto le cose buone, le cose giuste.
Una foto per una vita, per poter ricordare tutto come splendidamente ricevuto senza inquinarlo con gli errori e i dolori che il tempo ha saputo inchiodare alle nostre vite.
La vista di un paesaggio. La terrazza che scopre le luci della città, tra i neon, le case, i verdi i gialli e i rossi dei semafori.
La vista di uno specchio. In cui possiamo rifletterci. Vederci. Vedersi. Uno specchio che ti mostra ciò che sei, senza inganni, senza false speranze. Uno specchio in cui puoi vedere la tua vita. Specchio delle nostre brame.
Gli occhi, attraverso i quali diventiamo uomini e donne. Con i quali commettiamo tutti i nostri crimini. Gli occhi, grazie ai quali possiamo davvero conoscere l’universo della nostra esistenza.
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