29 August 2010

EPILOGO - Sullo scrivere

Applausi.

È rimasta solamente la vena più sottile e dolce. Quella che tiri fuori quando ogni brandello di forza è caduto, quando è tutto in frantumi.
Vorrei dire tutto con un’unica parola. Mi spaventa ciò che può succedere tra l’inizio e la fine di una frase. Ogni parola in più è una sofisticazione.

La platea è completamente vuota.
Solo voi, pochi coraggiosi, seduti sparsi qua e là.
In fondo è nero. Spaventoso.

Non è una questione di tempi, di pause, di lessico. Non riguarda le parole, la metrica. Non centra nemmeno con me o con te. È solamente su se stesso. Sull’atto in sé.
Scrivere per dire pregare invocare, una poesia una canzone, mi serve un mezzo per raggiungerti. Non in superficie ma nello strato più profondo, quello essenziale, quello in bianco e nero, quello fatto di te.
Ho bisogno di parlare a quella parte di te che rimane nascosta sotto le maglie di metallo della tua cotta, sotto le piume del tuo travestimento, sotto la carne della tua umanità.
Non ho imparato nulla, né dal passato né dagli errori.
Non posso, non so imparare.
Va bene così. Tutto il dolore dell’universo non basterà a farmi cambiare, non mi renderà migliore, non farà di me una persona buona.
A me basta che m’insegni come raggiungere te. Come arrivare a toccare, con le mie parole, te. Perché mi spendo in mille cose, mi distraggo, mi muovo, mi affanno, eppure sono e rimarrò per sempre solamente questo: un testo.

Parole rime versi segni scritte frasi. Idee.
Sono la mia musica e sono il mio verbo. È l’unico modo che ho per esprimermi: non sono bravo con le parole, non sono bravo con i fatti, non sono una persona coerente, seria, leale.
So solamente scrivere.

Posso andare da A a B unicamente con le parole che scrivo. Posso ringraziarti del tuo starmi vicino unicamente con le parole che scrivo. Con queste parole posso dirti grazie per avermi ascoltato, per avermi dato una pacca sulle spalle, posso dirti che se non avessi avuto te mi sarei perso in quella città sconosciuta. Se tu non mi avessi raccolto mentre ero in terra, nudo e spaventato, non sarei qui ora.
Scrivo perché non ho il coraggio di vivere la vita.

Da quando il cielo è diventato così chiaro di notte?

Qui affiora solamente la punta dell’iceberg. Ho centinaia di fogli, di ritagli, di taccuini. Ho speso parole in ogni momento della mia vita. Ho sempre tentato di rimanere al passo con la mia vita.

Ho distrutto tutto. Ho fatto terra bruciata intorno a me. Era quello che volevo?
Ho distrutto tutto. Ho sbriciolato la mia esistenza. Ho vomitato tutto il sangue che avevo in corpo. Ho ucciso, ferito, violentato, rubato.

Ho rubato a te la tua anima, ho rubato a te un segreto.
Ho violato il sacro, ho sfregiato e ho profanato. Ho amato troppo. Non sono stato capace.
Ho voluto troppo, ho perso tutto.
Ho vissuto una notte dentro un silenzio ed una promessa.
Ho ucciso le stelle e ho fatto ammutolire i cieli.

Ho fatto provare vergogna a Dio, perché sono stato ingiurioso ed abominevole.

Ora ho un motivo in più per smetterla. Per voltarmi verso qualcos’altro.

Non per presunzione, non per sofisticatezza.
Mi sono spinto troppo in là.
È ora di imparare dagli errori.

Quindi qui si chiude questa avventura. Questo stupido diario, questo porcile, questa discarica. Questo blog, questo feticcio.
È il momento di smetterla. È il momento.
Ora faccio calare il sipario sulle mie parole.

Saranno altri a leggerle, in altre forme, in altri modi. Troverò un’altra strada: più mia, più figlia del mio cambiare.

Qui saluto e ringrazio tutti.
Per la pazienza.

Ho davvero finito le parole.

27 August 2010

Testamento

Quando hai un coltello nello stomaco, cosa conviene fare? Rimanere immobile, cercando di minimizzare il dolore, per non sentire quanto a fondo è penetrata quella lama? Oppure afferrare con tutte le tue forze il coltello e strapparlo fuori, non importa se budella viscere e sangue sgorgheranno dalla ferita…

Se riesci a trovare pace solamente sotto il getto bollente di una doccia, e resti lì, minuti su minuti, come se quella pioggia tiepida potesse cancellare il mondo che sta fuori. Come se le pareti di vetro del box potessero proteggerti dalla realtà. Come se facessi parte di un mondo in cui sei accettato anche così, nudo, debole, umido.

Se hai bisogno di non fermarti mai perché se ti fermi allora uno tsunami di pensieri finisce per travolgere ogni forma di equilibrio. Se hai bisogno di rumore perché non vuoi sentire l’eco di ciò che già sai.

Se ascolti solamente Bjork, perché è qualcosa che non puoi capire, e a cui perciò non devi rispondere.

Sento il sapore di una stupida musica. Ascolto il ticchettio della pioggia sul vetro della finestra, mentre la tristezza mi avvolge come miele. Sento la pioggia fuori ed un caldo silenzio dentro. I muri, che non mi conoscono, rimangono a far da sponda ai miei respiri. La mia cortesia. Un campo minato di specchi, occhi e domande. Risposte che non ha senso cercare, libri luci situazioni. Un film che è solo mio e tuo. Una di quelle storie scritte male, retoricamente sbagliate. Restano le frasi che non restano. Restano tutti quei momenti di umido rumore che si spargono su di me.

I fantasmi ci sono e sono intenzionati a rimanere, la mia invidia rimane, le speranze hanno lasciato spazio da tempo alla matura disillusione.

Se spendi i tuoi sogni nelle sere sbagliate, se ti senti incatenato ma sei affezionato al tuo carceriere, se sai che è ora di andare ma hai bisogno di tempo, perché spezzare le corde richiede coraggio e forza.

Vedi, non so se riuscirai a capire, perché io stesso ho rinunciato a darmi delle ragioni. So che mi odierai, ma lo preferisco. So che penserai a me e mi maledirai, ma lo preferisco. So che sbaglio, ma lo voglio. So che salto da una rupe senza elastico ai piedi, so che incrocio le mie labbra con il diavolo, so che vendo la mia anima al peccato della solitudine, so che sbaglio nello scendere dal palco nel momento cruciale della messinscena. So che nonostante ciò che so non potrò fermarmi. So che le favole sarebbero fatte per un lieto fine, so che i sogni sarebbe bello realizzarli, so che le tentazioni andrebbero rifuggite.

Eppure io sono questo.

Sono un coltello infilato nello stomaco, sono costretto a nascondermi sotto il getto di una doccia bollente, sono una vittima che ha perso il lusso di potersi fermare; e tu. Che mi fai ascoltare ed apprezzare Bjork.

È bello essere soli.

È ciò che rende più forti.

È bello non aspettarsi nulla.

È bello vivere solo l’oggi con me stesso, senza domani e senza compagnie.

È bello.

12 August 2010

Vento

Rimanere a lungo sotto la doccia calda fa bene all’anima. Anche al cuore.

Piove umido su una rabbia acerba, sul continuo nervoso che permea questi giorni, questi momenti. Qual è il problema? Beh, è una questione di piccole speranze, di dolci illusioni, che si spengono ed accendono. Prima è il sole poi è il black out.

Niente ti disseta e per questo non riesci a rispettare niente. Vorresti essere là ed in quel tempo, non qui ed ora. È difficile e difficilmente comprensibile. Non è chiaro e non lo è nemmeno per me.

Sento che dentro la mia mente c’è vita, attività, un piccolo neurone corre impazzito. Eppure sono immerso in questa marmellata: dolce ma maledettamente mediocre.

Ci si vomita addosso perché ci si rende conto di condurre una vita insipida: vuoi prendere scappare andare. Oppure desideri un dramma, una sofferenza che ti veda protagonista. Hai bisogno di quel lato di violenza che rende ogni storia unica. “Tutte le famiglie felici sono felici allo stesso modo. Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. È tutto qui, l’ha già detto quel russo bastardo. È una sofferenza a renderci speciali, è l’esser protagonisti di un dramma che allieta la nostra sete.

E allora ti vedo davanti a me, immagino il tuo corpo la tua pelle e i tuoi capelli. So che sei irraggiungibile e ti avverto lontana. Allungo una mano sulle tue spalle, sui tuoi seni. Lavo con un sapone di dolore il tuo corpo e la schiuma corrode i miei occhi, il mio naso, ogni via che porta il mio respiro verso il mondo. Le mie mani scorrono su di te spellandosi e graffiandosi. Eppure è dolce come una notte di pace. È bello ed è quello che vorrei.

Tu io lei. Sempre dove può cadere un peccato nella distanza nella consapevolezza nel corpo dentro il tuo, nel peccato che scivola tra le tue labbra nel dolore che esplode dalle mie mani.

Esiste un attimo in cui il silenzio diventa pace, in cui la forza diventa musica. In cui il corpo diventa un vate. In cui le mie mani sono radici e tu puoi nutrirti di me.

E sei una droga e sei un cerchio, e io dipendo da te e tu mi costringi a questo doloroso ritornar su me stesso. Per me per il mio dramma. Bagno le mie dita nella tua presenza, bagno le mie labbra con le tue. Scivolo e volo all’ingiù dentro un inferno di possibilità.

Tu tu tu tu tu tu tu. Cazzo tu. Sempre tu. Mai io. Io ho smesso di esistere. Tu tu tu tu tu tu tu e la mia rabbia. Solo rabbia non presenza, non essenza, non consistenza. Non ci sono sono tuo e sono invisibile e tutto quello che posso fare è rimanere fradicio di desideri sotto il getto di una doccia calda. Sentire il tuo corpo in un vapore, vedere i tuoi occhi dentro una goccia.

Brucio e con me brucia la mia casa la mia storia la mia famiglia i miei sogni le mie mani i miei occhi. Mi piace da impazzire questo dolore atroce nel petto. Mi piace sentire le tue labbra come ferri ardenti sulla mia pelle. Le tue mani come rostri che strappano lembi di pelle, i tuoi occhi che scavano il mio volto. E mi sfregi e mi strappi e mi sputi e mi insulti con ogni tuo movimento. Sai mordere fino ai nervi.

Io e te. Con una paura fottuta. Nella confusione di un lenzuolo, nei tuoi capelli sparsi come pugni di sabbia sul cuscino. Io fermo senza più parole perché me le hai strappate tutte dalla gola. Tu stesa, ad ogni respiro un seno si scopre, bianco come il latte. Ti osservo e sulla tua schiena si riflettono tutte le luci della città. Di tutto il mondo. Della mia prigione. So di esser qui. So di non capire cosa tu, abbracciata in quel lenzuolo, sia. So che ogni istante serve per innamorarsi di quello successivo. So che un corpo spezzato può raddrizzarsi ma non risaldarsi. So che esistono angoli di buio in cui è concesso lasciar crescere muffe e ragnatele. So che tu hai la forma di uno spaventoso peccato.

Solo non so, mentre ti guardo, fermo immobile, cosa tu stia sognando.

25 July 2010

VI AG GIO

Si definisce finto tutto ciò che non è vero. Si definisce finzione l’atto in cui si fa, dice, pensa, dichiara qualcosa che non è vero.

Si definisce sesso l’atto con cui due persone si accoppiano. Si definisce eiaculazione l’atto in cui l’uomo raggiunge l’orgasmo, il massimo piacere, e rilascia, attraverso la contrazione di alcuni muscoli del pene, lo sperma.

Lamentosi lamenti. Puttane troie pioggia e la Romania che fa strappare gli occhi.

Voglia di prendere di partire, di lasciarmi tutto dietro, di non mettere mai su casa, di non stringere legami più lunghi di un sorriso o più profondi di un coito. Rimanere in viaggio per non esistere nemmeno. Prendere partire andare. Lasciare. Staccare i piedi da terra, dal pantano, e vedere quanta strada si può percorrere a balzi. Senza dimenticare il mare i prati le città la musica ed i piaceri. Continuando ad evitare la tranquillità e la quiete che un letto ed uno stupido cuscino sanno darti al tuo ritorno a casa.

Sento l’emergenza dentro di me. Sento la voglia di far tutto di corsa.

Di correre e sbatterti dentro la tua stanza e far sesso con te fino a consumarci.

Di correre e sbatterti dentro la tua stanza e far sesso con te fino a consumarci.

Di correre e sbatterti dentro la tua stanza e far sesso con te fino a consumarci.

Di riempirmi la pelle di tatuaggi fino a trasformarmi in un maori infuriato.

Di dire per l’ultima volta ai miei genitori quanto voglio loro bene, quali creature splendide esse siano… ed infine partire.

Andare.

Lasciar indietro qualcosa.

Muovermi come solo i tornado sanno fare.

Senza pensieri sul prima e sul dopo, solamente un’infinita teoria sull’oggi. Una speculazione atroce sulla bellezza della corsa. Se io, ora, correndo, sorridendo, piangendo, verso di te verso le tue braccia verso il tuo mento… se io… staccassi i piedi e volassi.

Questa sarebbe vita.

Questo sarei io.

Io con i libri che ho letto, le fotografie che ho fatto, i tentativi che ho esperito, gli amici che ho amato, le ragazze che ho toccato, i sogni a cui ho rinunciato, le righe che ho cancellato.

E io. Con i libri che leggerò, le fotografie che farò, i tentativi che esperirò, gli amici che amerò, le ragazze che toccherò, i sogni a cui rinuncerò, le righe che cancellerò. I giorni che consumerò.

Fino all’ultimo, senza tregua se non quella che il mio cuore chiederà. Senza limiti se non quelli che mi darò. Senza fine se non quella che Dio mi chiederà.

Così sarebbe vita. Così sarebbe vivo. Così sarebbe essere umano.

E lo sai.

Perché da una parte puoi affrontare con calma e consapevolezza la vita, costruendo impalcature, preparando strade, modellandone le forme. Oppure puoi spezzare tutte le corde del tuo violino, gettarti dal ponte dentro l’acqua gelida ma viva di quel Danubio. Puoi azzannare i lembi adiposi del tuo esistere ed essere nelle cose. Nelle cose, non per esse.

Perché siamo ad orologeria ed è un finito e ridicolo camminare verso la morte. E allora non mi importa della casa, dell’”essere-ciò-che-vuoi-essere”, dell’esserci, dell’aspettarti, dell’attendere quel tuo messaggio o quella tua pietà.

Sono stanco di esistere nell’attesa di qualcosa, nel momento giusto per fare il mio discorso.

Voglio esistere nell’atto di creare, nel gettarmi costantemente in pista. Nel creare piste dove altri non ardono nemmeno di camminare. Questo vuol dire vivere, esserci...

Mille amici mille situazioni mille esami mille contratti mille aspettative mille placide eutanasie.

Ho voglia di svegliarmi la mattina e vedere solo il sole davanti a me, e me dietro di me.

Sto pensando ad ognuno di voi. Mamma, papà, enrico, anna, fede, mattia, giulia, steffa, debora, gigi, giorgia, ale, anto, zia, zii, nonni, amici, laura, gaia, amici, cugini, parenti, sorrisi, sorridenti, arrabbiati, traditi, feriti, trapassati e trasparenti. Penso a voi e a come avete modellato la materia greve del mio essere. Come avete impresso le vostre mani, con violenza con egoismo e con forza, sulla materia del mio corpo. Come avete saputo dare a Me la mia forma. Come avete reso me qualcuno che non era me. Come avete creato me.

E ora è il momento di passare oltre. Ora è il momento di iniziare la discesa verso la fine.

Voi, grandiosi scultori, avete inciso e scolpito la mia forma, l’avete resa reale, l’avete resa umana e l’avete resa me. Alcuni con delicatezza, altri mordendo con forza, altri con perizia, alcuni con maldestra violenza. Alcuni mi hanno modellato con un bacio, con una carezza, altri con un pugno o una pugnalata. Alcuni hanno permesso che la mia materia penetrasse all’interno delle loro fessure. Alcuni hanno sputato sulla mia esistenza.

Ora è il momento di passare oltre. Dopo la scultura e la cottura bisogna approcciarsi all’inevitabile fase che succede a queste, e che è comune a chiunque rechi in sé il baco della mortalità.

Ora voglio che su di me sia il vento, il tempo, lo strisciare distratto di una mano, che non scolpisce ma che, col passare dei secoli, mi levigherà, fino a rendermi informe. Morto. Forma perfetta.
Ora voglio che siano i passanti, i turisti della mia vita, i distratti che mi regaleranno un bacio, chi mi scoperà, chi mi saluterà ed andrà oltre. Levigare lentamente, secondo per secondo, fino alla fine di tutto.

Levigare fino alla sostanza, cioè il mio semplice, immenso, comune, nulla.

13 March 2010

Anima

Incredibilmente ci sono ancora.
Io. Noi. Me.

Lo strano concetto di un'anima all'interno di un cassetto. Stretta in un pugno.
Mi domando cosa devo aspettarmi dal domani.
La mia scuola, la mia famiglia. I miei affetti.
Tutto ciò è finto. Falso. Inutile. Volatile.
E' olio bollente. Che se provi ad avvicinare la mano finisci per bruciarti.
Mi domando a cosa devo puntare?
L'amore il lavoro il successo la felicità?
O forse devo semplicemente rimanere qui dove sono. Perchè l'equilibrio è dentro di noi, e muovendoci ed agitandoci non facciamo altro che impedire a noi stessi di rendercene conto.
Il mio sogno è uno.
Uno.
E proprio perchè è uno è irraggiungibile.

Esisto? Ci sono?
Queste frasi non hanno nemmeno niente di bello.
Una volta era prosa. Era forte. Era.
Ora sono cocci sparsi. Che per me non hanno senso. Figuriamoci per chi si avventura tra queste pagine.
Sono i vagiti di un bambino che non ha nemmeno imparato a parlare.
I giorni, scorrono. I sogni, appassiscono.
Ci si sente soli.
Soli soli soli.
Sole.

Luce.
Dov'è la luce?
Qua è solo un gran buio. Nessuno vede niente.
Ho anche dei "lettori fissi", ho scoperto oggi.
Me l'ha detto Blogger.
Lettori fissi.
Persone che vogliono sapere quando e cosa scrivo.
Grazie....................
l'unica parola che riecheggia piena di senso.
Grazie perchè siete dei coraggiosi.
E soprattutto, se avete letto cose vecchie, siete pazienti: magari sperate che un giorno io ricominci a scrivere. Scrivere.
Non spargere muco e lamenti.
Scrivere.
Ho racconti, idee, cose. Ho storie.
Fatte finite raccontate.
Sono in un cassetto.
Io non sono uno scrittore.
Quindi rimangono lì.
Incomplete, piene, gravide.

Dammi delle regole, e io infrangerò il mondo.
Fammi esplodere. Dammi tritolo energia acido sperma pelle flash luci dischi capelli sorrisi piercing nomi carni occhi.
Dammi entità atte ad esse bruciate.
E io ti darò la più semplice delle opere d'arte. Ti regalerò il latrato del cane rinchiuso in una stanza.
Non sono niente. Per questo posso tutto.
Posso permettermi di rimanere steso sulla spiaggia, lambito dalle onde. Di mattina. Ore 4. Io sono lì. Posso permettermelo perchè io non esisto.
E continuerò a non esistere perchè in questo modo posso perdurare nel mio dimenarmi.
Che per me è vita.

Non capisco.
Le mie parole. Le mie frasi. I mie lamenti.
Sono come lamiere.
Sono acuminate.
Sono sgradevoli.
Eppure. Qualcuno rimane "fisso". Qualcuno vuole sapere perchè e cosa.

Incredibile.

Tutto ciò mi fa andare avanti ancora di più.
Guardo le persone.
Mi sento diverso.
Guardo gli amici.
Mi sento incompreso.
Guardo le ragazze.
Mi sembro inadatto.
Guardo il futuro.
Mi sento.
Guardo.
Sento.

Grazie.
Io vado avanti.
Con la mia musica i miei sogni, i miei tentativi, le mie debolezze, le mie grida, i miei odori, i miei occhi.
Io vado avanti. Supero tutta la fila di persone davanti a me.
Non ho tempo di aspettare perchè mi stanno aspettando.
Di là da quel muro, c'è qualcuno che mi aspetta. Non importa quanta gente abbia conosciuto. Non importa quanto male io abbia sparso. Non importa che la mia anima sia ora gonfia di pus. Non importa che la mia fine ci sia o meno.
Importa che di là ci sia qualcosa.
Non posso sopportare l'idea.

Sabbia, polvere. Un disneyano cerchio della vita.
Non posso.
Non ci riesco.
Non ci credo.

Ho bisogno che al di là dell'ostacolo non ci sia solamente la disgregazione.
Ti invoco.
Perchè ho bisogno di te.
Ti invoco.
Perchè altrimenti non ce la farei.
Ti invoco.
Senza sapere il tuo nome, il tuo colore.
Ti invoco.

Anima.
Io ti invoco.

20 January 2010

Riflessione #1

E se forse tutta la tua vita si riassume nel senso del giorno del tuo compleanno?
Hai 24 ore tutte per te, una festa incredibile. Bellissima.
Hai regali.
Facce rivolte verso di te.

Poi arriva la mattina dopo.

Ti aspettano altri 364 giorni di niente.


L'insostenibile leggerezza dello sperare.
Dio come suona male. Dio.





Ps: grazie per quei capelli sottili come spilli, che mi hanno forato il cuore.
Grazie per quegli occhi profondi come il peccato in cui ti rinchiuderei.
Grazie per non esistere, perché non saresti mai abbastanza per i miei sogni.
Grazie per sorridermi solamente quando lo desidero.

15 January 2010

La deontologia del giocatore di Tetris come risposta all'irrazionalità delle relazioni umane.

Piccoli appunti in vista di Milano. Notte fonda.

Q
uello che posso lasciarti è una poesia, perchè questo è quello che so fare.
Non scrivo molto spesso oramai. Diventa un po' come una morte interiore; scrivere ruba frammenti di qualcosa, qualcosa a cui non riesco a dare un nome. Però è quello che faccio; lo faccio e vorrei saper fare altro.
Ma non voglio mentirmi. Io posso fare solo questo. E mi piacerebbe fosse diverso.

Ci sono persone che leggono queste righe. C'è un'Italia che mi sembra quotidianamente violentata. E ci sono amici veri e amici no. E mi rendo conto che è troppo facile scambiarli gli uni con gli altri.

C'è una cosa, sempre, che sfugge. Qualcosa che rimane sempre sospesa. Impigliata tra le dita. Come intrappolata, in quel limbo che separa il pensiero dal mondo scritto sulla carta.
A volte mi manca l'odore del mare.
Mi manca casa.

Eppure la vita che c'è, la forza vitale che questa città trasuda. Tutti i sorrisi, le serate che precedono i risvegli nervosi e i mal di testa.
Nostalgia sempre. Per coprire l'ansia. Il senso di vertigine.

Per te che leggi, con un infinito senso di riconoscenza. Perchè mi fai sentire vivo. Perchè ogni tanto hai il coraggio di arrivare fino in fondo.
Perchè l'unica vera domanda è una: perchè dovresti leggere tutto questo?
Non è una melodia, è un lamento. Non è un quadro ma una macchia. Non è bello e non è dolce. E' doloroso. Come un addio, come la suonata triste del mendicante.
Anche io ho bisogno di carità.

Mi sento pieno di amore. Mi sento pieno di vita. Mi sento. Io.
Io.
Mi sento e mi ritrovo a credere nel poter raggiungere qualcosa. Mi sento e riesco ad ascoltare lo sciabordio delle onde. Il profumo di salsedine che purtroppo voi non potete conoscere.
Il mare rimane dentro di me.
Sto attraversando il mondo, l'universo forse, condotto in un viaggio che porta in un luogo uguale per tutti noi. E a cosa posso dedicare questo tour suicida?
Alla vita.
Alla scrittura.
Ai sogni.
Ai bisogni.
Al tuo sorriso.
Sono pronto a dirti che ti amo.
Pronto ogni volta che tu me lo vorrai sentire dire.
Perchè l'unico motivo per vivere è non avere un motivo.
Nonostante tutto.


E se a volte gli incontri spaventano, perchè hai rivisto quell'amica che ti ha strappato un pezzo di anima, perchè hai sbattuto la fronte e hai visto il sangue...se a volte cresce la sensazione di starsi specchiando nella propria solitudine...
...allora chiudi gli occhi, accogli tutto il veleno che puoi contenere, accetta lo scherno del mondo.
Chiudi gli occhi ed ascolta il rumore che si sente dentro di te.
Per ritrovare te stesso, per farti di nuovo sentir parte della tua ballata magica. Per esserci veramente.

Siamo orfani.

Siamo ciechi.

Ma abbiamo la possibilità di scegliere tra il paradiso e l'inferno. Tra i sogni e il dubbio.

Io continuo a inseguire dietro gli angoli i miei desideri. Continuo a rinunciare a me non sapendo dividermi adeguatamente al mondo che mi sta intorno.
Continuo ad esserci ogni giorno.
E, oramai sempre più raramente, continuo a scrivere.
Ma rimane sempre ugualmente doloroso.