03 January 2008

Lirica e inchiostro

La poesia risiede nell’angolo più remoto e nascosto di noi. In un risvolto spesso non accessibile, sempre difficilmente districabile. La poesia non è la bellezza stupefacente di ciò che si crea, è piuttosto la consapevole costruzione di sé stessa.
La poesia è magnifica nel suo rigore che poi, successivamente, diventa bellezza. Dietro allo splendore c’è sempre un flusso esplosivo di creatività, incanalata attraverso i mezzi artistici più disparati.
La bellezza di ciò che è bello tocca i punti più profondi del nostro animo, tocca le corde che solitamente rimangono spente.
Quando scrivo, quando cerco di comporre un quadro con le parole, quando tento di farvi provare qualcosa, io mi limito a dare libero sfogo a ciò che dentro di me è contenuto. Non faccio altro che aprirmi e vedere se c’è qualcosa di buono da far fuoriuscire e incorniciare.
Ma, quando dentro di te la tua anima sta lentamente marcendo, quando il tuo regno interiore è assediato dai crampi della solitudine, dell’incomprensione, allora diventa difficile estrarre qualcosa di bello, di perfettamente bello, come un sorriso, o un paesaggio. Quando il tuo cuore sta appassendo allora i germi cominciano ad impestare tutto quanto. E diventa impossibile estrarre qualcosa che sembra bella.
Perché chi è artista, chi ha un dono, è sempre capace di creare bellezza. Ma quando il suo spirito si ammala e i cancri cominciano a divorare tutto allora la bellezza diventa qualcos’altro. Diventa sublimazione. Non è più qualcosa che piace a tutti, ma è comunque splendida. È coperta di sangue e di vermi, ma rimane per me unica e magnifica.
È una bellezza che nasce dal dolore, qualcosa che va oltre, qualcosa che si compie nella simbiosi con l’artista. Quel tipo di estetica non ha nome e non ha nemmeno successo, ma è la più vera, quella che, deturpata, violentata, sudicia, ma autentica, mostra davvero il mondo così come l’artista lo vede.
Vi domando scusa se l’evoluzione di ciò che faccio sta portando la mia opera ad un’antiestetica totale. Ad un ripiegamento del testo su se stesso per vedere quale forza sia nascosta in esso: comprimendo se stesso allora il testo mostra quale è la sua resistenza; violentando un corpo si può capire quale sia la sua capacità di reazione. Ogni parola, ogni tortuoso salto concettuale è specchio della mia mente, è rigoroso ritratto di ciò che sono.
Io sto marcendo dentro, ho bisogno di trovare un appiglio, o quanto meno un palliativo, e lo sto cercando nei miei testi. Ma per potermi affidare al mio creare devo sapere fin dove esso può giungere. Per nutrire fiducia in esso devo capire fino a dove posso spingerlo.
Ciò che scrivo, ciò che vomito, sta diventando tagliente, spigoloso, ruvido. Diventa ogni istante più abrasivo, più flaccido, più distorto.
Ma sta diventando la mia ancora di salvezza.
Sta diventando me.

2 comments:

tnom said...

Ok. Scrivi molto bene. Solo non capisco questa tua natura triste.

Spero sia un periodo.

Baci.

Anonymous said...

devo ammettere che leggendo il tuo blog ho capito tantissime cose.... cose a cui non avevo mai pensato e che mi hanno fatto riflettere profondamente... cose che mi hanno colpita e che non scorderò facilmente... terrò a mente proprio tutto quello che hai detto perchè, anche se sono più piccola di te(e quindi il mondo non lo conosco molto bene)e ho meno esperienza, sappi che lamaggior parte delle cose che scrivi valgono anche per me... non mi sono mai sentita così sola come adesso... almeno nelle tue parole trovo un'ancora di salvezza... un ramo a cui appigliarmi... come un raggio di luce nel bel mezzo delle tenebre... spero davvero di diventare brava quanto te a scrivere.... per ora ti posso dire solo una semplicissima parola: grazie...