Il ragazzo è alto, davvero alto. Sarà un metro e novanta, forse anche qualcosina in più. Aveva i capelli piuttosto lunghi, che scendevano selvaggi fino alle spalle. Sul mento e sulle guance una barba lunga, incolta, anche quella selvaggia.
Stava seduto immobile, guardando i trofei nella loro bacheca scintillante. Guardando le foto, le copertine dei giornali, le targhe al merito.
Rimaneva seduto con lo sguardo che si attorcigliava sui quei cimeli che sembravano ad appartenere a qualcun altro, qualcuno che avrebbe ancora lottato per ottenerne altri, e altri ancora.
Si chiamava Nathan Scott, era un ragazzo alto, coi capelli lunghi e la barba non curata.
Nathan sedeva con gli occhi umidi e le braccia nervose; le mani, serrate in pugni che sembravano strozzare se stessi per la forza con cui venivano stretti; i bordi delle labbra completamente immobili, pietrificati in quella smorfia inespressiva, ma carica di rassegnazione.
Nathan era arrabbiato, era infuriato.
Quel ragazzo possente, con quella barba che sembrava ricordare un giovane marinaio, con quegli occhi così giovani, così pieni di cose da dire, ma così irrimediabilmente tristi. Con quei capelli disordinati che chiedevano di essere tagliati, pettinati. Con quei capelli che ricadevano su quegli occhi pieni d’acqua, forse per il colore azzurro, forse per un mare che stava per inondare il suo viso.
Nathan Scott, ventun anni. Il primo ragazzo proveniente da Tree Hill accettato nell’NBA. Nathan Scott il genio del canestro, Nathan Scott…il ragazzo triste.
Seduto immobile, con uno sguardo di ammirazione e uno di rabbia; con un moto di amore e uno di odio.
Nathan Scott, seduto senza parole ma con troppi sentimenti a ribollirgli dentro e soprattutto, troppe, troppe domande a cui non sapevi rispondersi.
Afferrò i cerchioni della sedia, bloccando solo il destro, per potersi voltare. Poi, con lo sguardo basso, si spinse fino alla camera da letto.
15 January 2008
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