Applausi.
È rimasta solamente la vena più sottile e dolce. Quella che tiri fuori quando ogni brandello di forza è caduto, quando è tutto in frantumi.
Vorrei dire tutto con un’unica parola. Mi spaventa ciò che può succedere tra l’inizio e la fine di una frase. Ogni parola in più è una sofisticazione.
La platea è completamente vuota.
Solo voi, pochi coraggiosi, seduti sparsi qua e là.
In fondo è nero. Spaventoso.
Non è una questione di tempi, di pause, di lessico. Non riguarda le parole, la metrica. Non centra nemmeno con me o con te. È solamente su se stesso. Sull’atto in sé.
Scrivere per dire pregare invocare, una poesia una canzone, mi serve un mezzo per raggiungerti. Non in superficie ma nello strato più profondo, quello essenziale, quello in bianco e nero, quello fatto di te.
Ho bisogno di parlare a quella parte di te che rimane nascosta sotto le maglie di metallo della tua cotta, sotto le piume del tuo travestimento, sotto la carne della tua umanità.
Non ho imparato nulla, né dal passato né dagli errori.
Non posso, non so imparare.
Va bene così. Tutto il dolore dell’universo non basterà a farmi cambiare, non mi renderà migliore, non farà di me una persona buona.
A me basta che m’insegni come raggiungere te. Come arrivare a toccare, con le mie parole, te. Perché mi spendo in mille cose, mi distraggo, mi muovo, mi affanno, eppure sono e rimarrò per sempre solamente questo: un testo.
Parole rime versi segni scritte frasi. Idee.
Sono la mia musica e sono il mio verbo. È l’unico modo che ho per esprimermi: non sono bravo con le parole, non sono bravo con i fatti, non sono una persona coerente, seria, leale.
So solamente scrivere.
Posso andare da A a B unicamente con le parole che scrivo. Posso ringraziarti del tuo starmi vicino unicamente con le parole che scrivo. Con queste parole posso dirti grazie per avermi ascoltato, per avermi dato una pacca sulle spalle, posso dirti che se non avessi avuto te mi sarei perso in quella città sconosciuta. Se tu non mi avessi raccolto mentre ero in terra, nudo e spaventato, non sarei qui ora.
Scrivo perché non ho il coraggio di vivere la vita.
Da quando il cielo è diventato così chiaro di notte?
Qui affiora solamente la punta dell’iceberg. Ho centinaia di fogli, di ritagli, di taccuini. Ho speso parole in ogni momento della mia vita. Ho sempre tentato di rimanere al passo con la mia vita.
Ho distrutto tutto. Ho fatto terra bruciata intorno a me. Era quello che volevo?
Ho distrutto tutto. Ho sbriciolato la mia esistenza. Ho vomitato tutto il sangue che avevo in corpo. Ho ucciso, ferito, violentato, rubato.
Ho rubato a te la tua anima, ho rubato a te un segreto.
Ho violato il sacro, ho sfregiato e ho profanato. Ho amato troppo. Non sono stato capace.
Ho voluto troppo, ho perso tutto.
Ho vissuto una notte dentro un silenzio ed una promessa.
Ho ucciso le stelle e ho fatto ammutolire i cieli.
Ho fatto provare vergogna a Dio, perché sono stato ingiurioso ed abominevole.
Ora ho un motivo in più per smetterla. Per voltarmi verso qualcos’altro.
Non per presunzione, non per sofisticatezza.
Mi sono spinto troppo in là.
È ora di imparare dagli errori.
Quindi qui si chiude questa avventura. Questo stupido diario, questo porcile, questa discarica. Questo blog, questo feticcio.
È il momento di smetterla. È il momento.
Ora faccio calare il sipario sulle mie parole.
Saranno altri a leggerle, in altre forme, in altri modi. Troverò un’altra strada: più mia, più figlia del mio cambiare.
Qui saluto e ringrazio tutti.
Per la pazienza.
Ho davvero finito le parole.